mercoledì 16 dicembre 2009

DAL "PAN PROCESSUALISMO" AL "GIURISDIZIONALISMO", (OVVERO DALLA PADELLA ALLA BRACE)

Più che di "pan processualismo" si dovrebbe parlare di
"giurisdizionalismo", intendendo esprimere con ciò la pessima
abitudine degli operatori giuridici, in particolare del diritto
tributario, di far assurgere le massime giurisprudenziali, soprattutto
quelle di legittimità, a veri e propri "precedenti vincolanti" a
seconda, ovviamente, delle "convenienze. E' una tendenza comune ai
vari attori del "palcoscenico fiscale", fra cui in primis,
amministrazione, consluenti e giudici.
Fatta questa premessa appare, allora, non del tutto inutile richiamare
alcuni brevi concetti che penso possano servire a fare poco di
chiarezza su che cosa voglia effettivamente significare il termine
"precedente".
La Cassazione origina storicamente dal Tribunal de Casation francese
post rivoluzione come longa manus del potere legislativo diffidente
dei giudici possibili alleati dell'ancien regime. La sua funzione non
era tanto giurisdizionale ma piuttosto di controllo sul fatto che i
giudici non debordassero oltre la legge.
In Italia con la legge del 41 sull'ordinamento giudiziario le viene
attribuita la funzione nomofilattica...ma la sua natura è
giurisdizionale nell'interesse delle parti più che nell'interesse
pubblico di uniforme interpretazione della legge.
Se le categorie valgono qualche cosa e di qualche utilità può essere
richiamarle non possiamo dimenticarci, dividendo ancora una volta il
mondo in due, che il nostro ordinamento appartiene al sistema
denominato di civil law, tale per cui la pronuncia giudiziaria,
nemmeno quella della cassazione a sezioni unite fa precedente
vincolante: essa è giuridicamente vincolante solo per le parti.
Se questo è vero, allora, è completamente fuori luogo parlare di
retroattività o meno dei principi di ratio legis ricavabili dalla
sentenza. In Italia la sentenza, così come i principi da essa recati
nascono e muoiono lì, fra le parti. Legge vuota quella che sancisce
la nomofilachia, nemmeno le sezioni semplici vi sono obbligate (neppure
dopo la riforma del 2006) e neanche l'umile giudice di primo grado.
Detto questo, allora, è facile constatare che in Italia il precedente
funziona ma alla rovescia, rispetto a quanto avviene presso gli impavidi
sistemi di common law (qua come avete già notato è un ripiegarsi
comodo su una "zuppa", per casi diversi, già "masticata" da altri).
Il nostro sistema, di fatto, più che del "precedente" dovrebbe
denominarsi del "comodo" precedente. Ciò che preoccupa è proprio questo.
Pensiamoci bene: è sbagliato pensare che la "norma generale" possa
essere fatta dal giudice. Nei paesi anglosassoni il giudice "crea" la norma
(casomai nuova) sempre e comunque per il caso concreto che ha di
fronte.
Leggo da Peter Stein "La parte propriamente vincolante di una
precedente decisione è conosciuta coma la ratio decidendi.La ratio
decidendi di un caso non viene determinata dai giudici che decidono
il caso. Essa è identificata dai giudici dei casi successivi, i quali
devono decidere se la decisione costituisce oppure no un precedente
per essi. Tale natura di precedente sussiste se i fatti rilevanti del
caso anteriore sono gli stessi del caso attualmente in
decisione...altrimenti...si dice distinguono il caso anteriore che
non costituisce per essi un precedente. Pertanto il passaggio chiave è
l'accertamento del rapporto di somiglianza o di differenza tra i
fatti rilevanti di due casi". Continua l'Autore dicendo che quasto rapporto
di somiglianza o meno dipenderà su cosa il giudice vorrà porre
l'accento. Insomma, traspare chiaramente il ruolo attivo che il
giudice là deve avere.

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