venerdì 27 febbraio 2009

LE DETERMINANTI-3: IL BILANCIO DELLO STATO

Fra le determinanti del diritto tributario rientra, a mio parere, a pieno diritto il bilancio dello stato.

Su di esso, come detto, si scaricano, con effetti, poi a valle, le scelte politiche di spesa e di entrata.

Ma, per quel che qui interesse, da un punto di vista prettamente giuridico occorre mettere in evidenza come l'approvazione della norma di bilancio condiziona l'esecuzione delle norme tributarie, in particolar modo per quel che riguarda l'attuazione della riscossione. Tale aspetto, prettamente formale, visto che da un punto di vista sostanziale è molto improbabile che non venga approvata la legge di bilancio (magari anche s seguito di un esercizio provvisorio), da comunque la dimensione dell'unitarietà della norma tributaria, che, volendo richiamare l'impostazione kelseniana, si struttura evidentemente per gradi: al vertice vi è la norma di bilancio la cui esistenza e validità condiziona l'efficacia delle norma tributaria d'esecuzione.

In merito al bilancio dello stato vale anche la pena rilevare come esso si sia evoluto a partire dagli anni 40 del secolo scorso in poi. All'epoca la pressione della spesa pubblica sul PIL era pari, circa, al 15%, oggi oscilliamo attorno al 45/50%, la rigidità conseguente che ne deriva nella gestione delle leggi d'entrata, soprattutto tributaria, è evidente. Va sinteticamente rilevato, infine, che la normativa costituzionale, afferente, degli anni 40, è inadeguata agli odierni scenari economici e conseguentemente giuridici: nell'ottica di un immanente rapporto giuridico finanziario che lega lo stato al cittadino (ove vengono in rilievo situazione soggettive, comunque le si vogliano definire); l'art. 81 Cost, che vorrebbe normare il controllo politico sulle scelte di bilancio è strumento monco così come l'azione della Corte dei Conti dovrebbe trovare più ampio respiro.

giovedì 26 febbraio 2009

LE DETERMINANTI 2: SCELTE PUBBLICHE ED OPZIONE POLITICA

L'opzione c.d. politica, nell'ambito della finanza pubblica, com'è ovvio, non si manifesta solo al primo livello delle scelte di bilancio ma anche a stadi successivi ed in particolar modo, nel fenomeno tributario, nel momento delle scelte relative all'introduzione della tassazione (secondo livello) ed, infine, nella fase del procedimento d'imposizione (terzo livello). Penso che un approfondimento teorico del diritto tributario possa anch'esso giovarsi degli studi di James Buchanan, il quale con la sua "scuola delle scelte pubbliche" dimostra come le decisioni in materia di finanza pubblica possono allontanarsi dagli schemi di pura razionalità economica ed, aggiungerei, giuridica. Questo fallimento è spiegato da plurimi fattori: obiettivi economico sociali, aspirazioni ed interessi personali, errori di valutazione, libertà di azione più o meno ampia, sistemi elettorali, sistema amministrativo decentrato od accentrato, ecc. Come si avrà modo di analizzare meglio successivamente, esiste anche un altro influsso del momento politico sul diritto tributario, influsso che interviene patologicamente in quella particolare e delicata fase che dovrebbe concretizzarsi nella formazione delle basi proprie del diritto tributario. Momento, questo, catalizzante delle logiche di coerenza che provengono in primis dalla scienza delle finanze e dalle discipline di determinazione quantitiva della ricchezza e delle misurazioni d'azienda.

LE DETERMINANTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO-1

La materia tributaria e, quindi, il diritto tributario sono soggetti a plurime "pressioni" che ne condizionano il modo di essere.

La consapevolezza di questa "realtà" non può che essere di ausilio nella costruzione di una teoria.

Se siamo alla presenza di una scienza c.d. sociale ecco che allora appare ineludibile indagare previamente quali siano queste determinanti.

Ad uno stadio germinale abbiamo la c.d. opzione politica di 1° livello, quella cioè che si determina nel momento delle decisioni di spesa e, quindi, di entrata del bilancio pubblico.

In realtà tale primo stadio, ancora molto distante dal prodotto "diritto tributario", si rivela successivamente come assolutamente determinante in quanto i vincoli che esso pone, inevitabilmente condizioneranno la normazione finanziaria-tributaria, sia programmatica che contingente.

martedì 17 febbraio 2009

SSUU CASS. SENT. 2870/09 E DINIEGO DI AUTOTUTELA

Che la precedente sentenza delle sezioni unite sollevasse qualche
dubbio già lo si era espresso mi pare nel forum vecchio di dialoghi
tributari:
riporto estratto


Con la conseguenza che il sindacato del giudice dovrà riguardare,non
solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria (ove l’atto di esercizio
del potere di autotutela contenga una tale verifica), ma prima di
tutto il corretto esercizio del potere discrezionale dell’
amministrazione, nei limiti e nei modi in cui l’esercizio di tale
potere può essere suscettibile di controllo giurisdizionale,che non
può mai comportare la sostituzione del giudice all’amministrazione in
valutazioni discrezionali, né per i limiti posti dall’articolo 4 della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E l’adozione dell’atto di
autotutela da parte del giudice tributario.


L’invasione, da parte del giudice, della sfera discrezionale propria
dell’esercizio dell’autotutela comporterebbe, infatti, un superamento
dei limiti esterni della giurisdizione attribuita alle commissioni
tributarie. Sui limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti di
autotutela, il cui superamento comporta un’invasione in una sfera
estranea a quella della giurisdizione tributaria, le Su ritengono
utile il riferimento ai principi affermati dalla giurisprudenza
amministrativa (ex plurimis, CdS, sentenze n. 6758 e 7287 del 2004),
in quanto, in base alla disciplina contenuta nell’articolo 2 quater
del Dl 564/94, convertito con modificazioni nella legge 656/94, e nel
regolamento di esecuzione, approvato con Dm 37/1997, i poteri di
annullamento d’ufficio e di revoca dell’Amministrazione finanziaria
possono essere esercitati soltanto nel perseguimento di interessi
pubblici. L’articolo 3 del regolamento stabilisce che, nell’esercizio
di tali poteri, deve essere data priorità «alle fattispecie di
rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le
quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso».


2.2. E’ quindi evidente che l’esercizio del potere in questione, che
non richiede alcuna istanza di parte (articolo 2 del regolamento) non
costituisce un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei
rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti, anche se lo
stesso finisce con l’incidere sul rapporto tributario e, quindi, sulla
posizione giuridica del contribuente.


Dai principi sopra enunciati consegue, inoltre, che nel giudizio
instaurato contro il mero, ed esplicito, rifiuto di esercizio
dell’autotutela può esercitarsi un sindacato nelle forme ammesse sugli
atti discrezionali soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla
fondatezza della pretesa tributaria, sindacato che costituirebbe
un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa. Ove
l’atto di rifiuto dell’ annullamento d’ufficio contenga una conferma
della fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia
esclusa dal giudice, l’Amministrazione finanziaria dovrà adeguarsi a
tale pronuncia. In difetto potrà essere esperito il rimedio del
ricorso in ottemperanza di cui all’articolo 70 del D.Lgs 546/92, con
l’avvertenza che tale norma, a differenza di quanto previsto per
l’analogo rimedio dinanzi al giudice amministrativo ex articolo 27, n.
4, del Tu sul CdS (Rd 1054/24), non attribuisce alle commissioni
tributarie una giurisdizione estesa al merito.


Il carattere discrezionale del ricorso all’autotutela comporta,
altresì, l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio - rifiuto, non
esistendo, all’epoca dell’atto impugnato, alcuna previsione normativa
specifica in materia.


______


Da qui si era tratto lo spunto per dire: se l'Amministrazione non si
pronuncia o lo fa senza rientrare nel merito ma semplicemente
confermando, lede il contribuente e questi non potrà più far nulla; al
contrario, laddove si pronunci, magari malamente ma rientrando nel
merito, quindi collaborando con il contribuente ottiene per contro
l'impugnabilità dell'atto....


Su questo ci si era lasciati.....


Ora non mi pare che la sentenza in oggetto aggiunga qualcosa di
nuovo....


Giustamente evidenzia l'uso strumentale che potrebbe derivare
dall'interpretazione ed applicazione dell'istituto come mezzo per
rimettere in gioco un fatto già definito a causa della mancata
contestazione in sede amministrativa o giudiziale del presupposto
della maggior imposta.


Mi pare, cogliendo la matrice amministrativa, che l'interesse alla
rimozione deve essere bilanciato dall'interesse alla stabilità e
certezza del rapporto. Quindi i casi in cui, per infortunio del
contribuente, il fatto supposto sia poi del tutto inesistente o
difforme perchè venga riscontrato da un'autorità giurisdizionale non
tributaria siano del tutto esegui....ci si potrebbe sì porre
nell'ottica dell'esperibilità di altri rimedi.....o nella necessità di
revisione dell'istituto per queste ipotesi
(di The Planer)

Motivazione avviso accertamento e teoria generale

Recentemente mi è capitato di riflettere sulla struttura dell’atto
fiscale di accertamento e rettifica, tenuto conto della peculiarità
che lo stesso possiede nella riscossione odierna dei tributi erariali,
normalmente effettuata mediante l’adempimento spontaneo.
Se da un lato tale condizione rende meno importante l’attività degli
uffici tributari nella determinazione della capacità economica dei
fatti, degli atti, che consentono il realizzarsi dei presupposti di
tassazione disciplinati dalle singole leggi d’imposta, manca tuttavia
un’analisi dei concetti che informano o dovrebbero informare
l’attività di controllo degli Uffici finanziari sia nei confronti dei
soggetti che hanno adempiuto spontaneamente al pagamento del tributo
(occultando parzialmente la materia imponibile, errando nella
determinazione dell’imposta dovuta, etc…) sia nei confronti di coloro
che hanno omesso di dichiarare e versare spontaneamente (l’evasione
fiscale tout-court).
In questa breve analisi che, laddove dia origine a spunti di dialogo,
potrebbe essere sviluppata alla luce degli argomenti di seguito
esposti (in maniera anche sommaria, tenuto conto dello spazio), voglio
anticipare che non sarà oggetto di indagine la “motivazione dell’atto”
come normalmente viene inquadrata, ossia come strumento di semplice
cognizione dei presupposti di fatto e di diritto assunti dall’organo
tributario a fondamento della propria azione né tantomero i vizi
propri della stessa, poiché la manualistica e la dottrina tradizionali
si sono già soffermati su queste tematiche.
Tuttavia, proprio dalle modalità di approccio a questi aspetti della
motivazione dell’atto nell’ambito tributario, emerge una delle
problematiche più palesi: l’assenza di elaborazione dei concetti, per
lo più mutuati da altre aree del diritto (civile, societario,
amministrativo, etc…), inseriti nel sistema fiscale senza spesso
considerarne l’applicabilità in ragione dei meccanismi, delle regole
che lo caratterizzano.
Pertanto, nell’analizzare il problema della motivazione dell’atto
tributario, vorrei evidenziare gli elementi che la strutturano,
rimarcando grossomodo tre aspetti: a) la tipologia del soggetto
accertato b) la metodologia accertativa in funzione ed in ragione del
soggetto accertato c) la tipologia dell'eventuale violazione posta in
essere (non tratterò delle conseguenze sanzionatorie)
A questo punto, per esigenze di semplicità e brevità dell’esposizione,
indicherei quali elementi, peculiari dell’attività di controllo,
dovrebbero risultare dall’atto; all'uopo, avrei individuato la
seguente elencazione: a) presupposto dell’attività di controllo; b)
giudizio di fatto, esposizione delle modalità usate nella
determinazione della capacità contributiva c) giudizio di diritto,
ossia esposizione delle regole procedimenti applicate nell’analisi del
fatto e regole fiscali sostanziali violate d) attribuzione della
sanzione fiscale (su quest'ultimo elemento mi astengo dall'effettuare
valutazioni che sarebbero piuttosto de iure condendo che non de iure
condito).
Considerando l’atto scritto nella sua forma dematerializzata,
elettronica, potremmo definire questi elementi come le “macro“,
ciascuna implementabile e modificabile, che caratterizzano il file
nominato “motivazione dell’atto tributario”.
Di seguito pertanto vorrei, in questa sede, solamente esporre alcuni
concetti che potrebbero dar origine a riflessioni, nella forma
dialogica, su questi elementi che strutturano l’atto tributario
a) Presupposto dell’attività di controllo
L’indicazione nell’atto di accertamento dei presupposti che hanno
originato l’attività di controllo viene per lo più connessa ad una
semplice funzione di garanzia, cioè, in una prima fase per consentire
al contribuente di comprendere le ragioni per le quali l’Ufficio
procede ad analizzare la posizione fiscale dello stesso, per appurare
la correttezza dell’agire dell’istituzione nei confronti del
contribuente ed in una fase successiva per permettere ad un soggetto
terzo (normalmente chi esercita la funzione giurisdizionale) di
valutare la correttezza di tali presupposti.
Tale visione, strettamente “formalista”, dell’indicazione del
presupposto dell’attività di controllo, pur essenziale anche per
questo scopo, mi pare vada adeguata al ruolo che l’esposizione degli
inputs usati dall’Amministrazione finanziaria dovrebbe avere (ed avrà
sempre più in futuro) per comprendere alcune direttive essenziali
sulle quali strutturare la tassazione e la disciplina tributaria in
futuro.
Ciò deriva essenzialmente dal fatto che tale “macro” è quella che
normalmente meno viene analizzata dalla dottrina, considerata per
prima nella trattazione solo per necessità di completezza nella
trattazione della tematica della motivazione, ma senza un’adeguata
valorizzazione.
Pertanto, l’indicazione dell’attività del presupposto dell’attività di
controllo è, per converso, da un punto di vista sostanziale,
fondamentale e primaria per comprendere la tipologia del soggetto
passivo d’imposta controllato, le modalità del controllo, la tipologia
della violazione eventualmente commessa e le conseguenze che ne
derivano.
Prima di individuare però gli aspetti essenziali dell’indicazione del
presupposto del controllo, occorre però usare e per i più, presumo,
appropriarsi di categorie concettuali che non sono diffuse nella
quotidiana trattazione della materia fiscale, ma esistenti ad uno
stadio larvale e ancora poco diffuso in dottrina (mi riferisco a
categorie esposte da Raffaello Lupi in tempi più recenti e di cui
intendo fruire pienamente nella presente analisi).
Il primo concetto è quello della distinzione tra “eterodeterminati” ed
“autodeterminati”, cioè tra coloro oggetto di segnalazioni da parte di
altri soggetti e coloro che invece, non essendo fiscalmente segnalati,
non trovano riscontri ad eventuali forme di determinazione spontanea
della capacità economica oggetto di tassazione.
Nella prima ipotesi i fatti, gli atti, compiuti da questa categoria di
contribuenti, trovano delle manifestazioni, delle misurazioni,
compiute nel quotidiano da altri soggetti, che consentono
all’Amministrazione finanziaria, attraverso l’Anagrafe Tributaria, di
avere un controllo, più o meno dettagliato, del comportamento tenuto;
nella seconda ipotesi, l’assenza di riscontri o la scarsità di
informazioni acquisite non consente di valutare con semplicità e
tendenziale precisione le forme di capacità economica manifestate da
questa categoria dei soggetti.
A titolo esemplificativo, possiamo collocare nella prima categoria
coloro che operano subendo forme di prelievo intermedio
nell’adempimento spontaneo dell’obbligazione tributaria (coloro che
sono soggetti a ritenuta); nella seconda, chi opera senza subire forme
di prelievo intermedio, senza segnalatori della della capacità
economica, determinando pienamente in autonomia la propria capacità
economica.
Volendo poi ulteriormente sezionare quest’ultima categoria, quella
degli “autodeterminati“, potremmo distinguere coloro che operano nei
confronti di soggetti economici attivi nella produzione di beni/
servizi (operazioni tra soggetti muniti di partita iva) da coloro che
operano nei confronti di soggetti economici passivi, nel senso che si
limitano a fornire beni/servizi al consumatore.
Il secondo concetto-guida è rappresentato dalla “modalità di
determinazione della capacità contributiva”: all’interno di tale
categoria possiamo distinguere tra coloro che determinano il
realizzarsi dei presupposti del prelievo fiscale in modo “analitico”,
da coloro che, al contrario determinano la loro capacità contributiva
in modo “sintetico”.
Questa categoria concettuale, a differenza di quella prima indicata,
eterodeterminati/autoderminati, presenta una complessità notevole di
analisi e di collocamento dei contribuenti nello schema proposto: se
la chiave per essere considerato soggetto che esprime capacità
economica in modo “analitico” piuttosto che “sintetico” è fornita
dalla presenza o meno di strumenti di misurazione della capacità
stessa, come la misurazione contabile, per lo più gestiti direttamente
dallo stesso contribuente o da terzi per suo conto e nelle forme più
evolute anche ulteriormente controllati da terzi estranei, esiste
un‘area di mezzo o di contiguità ampia, quantitativamente, nella
scelta di collocamento del soggetto tra gli “analitici” piuttosto che
i “sintetici” (si pensi alla differenza tra il contadino che vende i
prodotti dei propri campi, al negozio di frutta e verdura la cui
contabilità è tenuta dal cugino ragioniere, alla società Alfa s.p.a.
che possiede 200 punti vendita, alla multinazionale che opera in più
Paesi nella distribuzione al consumo degli stessi prodotti).
Impostati questi due concetti, eterodeterminazione/autodeterminazione
ed analiticità/sinteticità, si può quindi comprendere l’importanza
dell’esposizione del presupposto del controllo caratterizzato
dall’indicazione degli elementi posti alla base dell’attività di
accertamento in funzione delle categorie concettuali poc’anzi
trattate.
Volendo esemplificare, l’omessa presentazione della dichiarazione
fiscale annuale, che nella disciplina sulle procedure di controllo ai
fini delle imposte sui redditi ed iva assurge ad elemento per
accertare mediante induzioni, cioè per elementi indiziari, la capacità
contributiva espressa da fatti od atti posti in essere dal soggetto
passivo, avrà un significato diverso allorchè il contribuente
determini l’imposta dovuta in modo analitico e si etero/auto determini
nella tassazione: un carrozziere persona fisica che ometta la ...
(di The Planer)

lunedì 2 febbraio 2009

ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO TRIBUTARIO

Sto leggendo "How judges think" di Posner,
un'inno al pragmatismo giudiziario americano.
Posner sostiene che i giudici americani fanno impiego - inconsapevole
- di law & economics, nel senso che il loro pragmatismo, orientato
alle conseguenze pratiche - anche su casi futuri - di una decisione,
spesso si fonda su ragionamenti che, anche se con strumenti formali
diversi, arrivano a soluzioni analoghe a quelle che derivano
dall'analisi costi/benefici ed esternalita' tipica della L&E.
vi risulta che qualcuno si sia mai posto il problema del pragmatismo
tributario? ossia della consapevole ponderazione degli effetti della
decisione di un caso? probabilmente decisioni come quella sul dividend
washing sono pragmatiche se riferite al caso singolo (ossia: ponderati
pro e contro epr ufficio e contribuente, il giudice decide che il
contribuente ha torto e poi va a cercare una giustificaizone giuridico
formale di decisoni prese con un criterio di "giustizia
sostanziale").
ma quelle riferite a un pragmatismo orientato al futuro? del tipo:
prima di decidere verifico cosa succedera' a chi e' chiamato dopo di
me a decidere altri casi.
i giudici statunitensi sembrerebbero orientati a limitare l'effetto
futuro delle proprie decisioni ed il pericolo che, una volta enunciato
un principio di diritto, questo risulti applicabile a fattispecie che
semanticamente vi rientrano, ma sono fuori dal cono d'ombra del
"principio sostanizale" che sta dietro al "principio di diritto
enunciato".
Un esempio classico era lo statuto medievale di Bologna (lo cita
William Blackstone nel classico Commentaries on the Laws of England,
non ho trovato cosi' al volo un referente italiano) che vietava di
"versare sangue per strada" per scoraggiare i duelli: il flebotomo che
soccorre un malato epr strada deve essere punito? ha versato sangue
per strada, ma chiaramente non nel modo che la disposizione voleva
colpire.
ecco, le massime sull'abudo del diritto, sull'antieconomcita',
sarebbero assai utili in un contesto pragmatico, in cui chi le applica
dopo ne cerca non il significato formale, ma lo spirito, e quindi le
rivaluta volta epr volta in un nuovo giudizio di fatto pragmatico.
invece da noi il giudizio pragmatico e' solo alla abse del primo
rpecedente, ilr esto e' un (apparente) sillogismo giudiziario in cui
la premessa maggiore e' lacritica trascrizione della massima (che,
spesso, non e' nemmeno il vero motivo della decisione originaria).
(di Marcello Tarabusi)