lunedì 22 dicembre 2008

PROBLEMI DEL DIRITTO TRIBUTARIO....e...recensioni

the Planer:
http://shop.wki.it/collana.aspx?ID=4349

Claudio Cerutti:
Sì, l'avevo visto il libro di Lupi sull'evasione... anzi, l'ho pure
comprato!!!
Per ora ne ho letto solo qualche breve estratto qua e là... già dalla
copertina si vede che è un libro destinato non solo agli addetti ai
lavori.
Comunque per quel poco che ho letto non sembra un libro solo
sull'evasione. Il vero titolo è nel sottotitolo "Teoria della
tassazione analitico aziendale e sue disfunzioni in Italia".
Sembra molto interessante, come del resto tutti gli scritti di Lupi.
Un passaggio del libro tra quelli che ho letto riguarda il diritto
tributario nel mondo accademico. Viene descritto un sistema nel quale
negli ultimi decenni si sono moltiplicate le cattedre di diritto
tributario ma, nonostante ciò, il progresso scientifico del settore
langue. E ciò è dovuto ad un sistema perverso per cui si sale in
cattedra grazie a pubblicazioni povere di ragionamento (definite "mega
tesi di laurea") e, una volta entrati in ruolo, si interrompono le
pubblicazioni per dedicarsi alla più remunerativa consulenza.
Consulenze e pareristica che, in un sistema tributario che funzioni,
nemmeno dovrebbero esistere. E quindi involontariamente tali soggetti
"approfittano" delle disfunzioni del sistema tributario (le quali
creano occasioni di lavoro remunerative), invece di contribuire ad
eliminarle (attraverso l'approfondimento scientifico della
determinazione giuridica della capacità economica).
(interventi di The Planer e Claudio Cerutti)

venerdì 19 dicembre 2008

CRISI FINANZIARIA E RUOLO DIRITTO TRIBUTARIO

fra mau:
...mi sto domandando, in questo contesto generalizzato di crisi
economico finanziaria, quale si il taglio con cui guardare il diritto
tributario..
...mi pare che venga in rilievo la sua strumentalità...è casomai
strumento per aiutare la ripresa...è evidente...(altra cosa sono le
scelte concrete).
...il profilo giuridico scivola velocemente in secondo piano...
...diventa quasi (è un mio sentire) una stucchevolezza...

claudio cerrutti:
In ambito politico il profilo giuridico del diritto tributario è quasi
inesistente, non solo in tempo di crisi. Basti ricordare le diverse
finanziarie con condoni e irretroattività varie nonché le sentenze di
Corte Costituzionale e Corte di Giustizia in campo tributario...
L'esecutivo di turno pesa ogni comma solo in termini di gettito,
l'aspetto giuridico è solo un mero strumento che non gode di dignità
propria, salvo quando si tira troppo la corda e si viene ripresi dalle
Corti di cui sopra... (ma anche a quel punto, ci si adegua alle
sentenze variando le norme in modo improvvisato, solo per tappare il
buco appena creatosi senza alcuna coerenza giuridica - vedi IVA su
auto e spese di ristorazione).
Guardiamo ai fatti: quello che contano sono gli "euri" che entrano e
che escono, il diritto tributario è pura divagazione filosofica...
purtroppo...

(interventi di Cladio Cerrutti e fra mau)

mercoledì 17 dicembre 2008

per una TEORETICA GIURIDICO FINANZIARIA

La letteratura giuridico finanziaria spagnola è floridissima e l'articolo riportato più sotto non ne è che un piccolo esempio. Leggendolo non si può che apprezzare come le tematiche finanziarie (di cui il tributo ne rappresenta solo una parte) possano ricevere un'adeguata sistemizzazione giuridica, senza per ciò scendere in valutazioni per così dire politiche. L'opera del giurista finanziario tributarista è di formazione delle coscienza, soprattutto, dei politici chiamati a prendere decisioni circondati da un habitat giuridico ben preciso ed attento alle loro decisioni. Facendo il paragone fra noi e la Spagna (paese latino con cui ben ci possiamo confrontare) allora si vede come la frattura nostrana fra tributo, diritto finanziario e spesa pubblica sia una delle cause dei problemi che assillano il nostro sistema di finanza pubblica. Certo da 60 anni le materie si sono separate ed il diritto finanziario anche da un punto di vista accademico è diventato merce rara (Amatucci, Battistoni Ferrara e non so quanti altri) senza alcun dialogo col tibutario ed i tempi, non per un ritorno al passato ma per una virtuosa ed evolutiva riscoperta al servizio della società, temo, purtroppo, siano ben distanti.

Non c'è bisogno che lo dica: sono sempre stato affascinato da ciò che sembra star oltre il diritto tributario...quell'area sconosciuta, ai più, e poco indagata che sta mezza via fra il diritto finanziario e la scienza delle finanze (per usare due termini stereotipati). Guardo questi confini indefiniti pensando che li si possa trovar qualcosa di utile per la nostra materia: il diritto tributario, appunto. Mi son sempre detto che è impossibile una frattura netta fra tali aree d'indagine, anzi, è intuibile che fra esse vi siano delle zone di sovrapposizione (un pò come negli insiemi), pensando anche che la spiegazione di ciò che sta di qua si può trovare, in parte, in ciò che sta di là. Sapete bene che sono un neofita per cui mi meraviglio di banalità, come la seguente: la norma di bilancio condizione quella tributaria, per cui se quella non viene approvata rimane senza efficacia anche questa, cioè non si posson riscuotere le imposte. In una visione, quindi, gerarchica la nostra cara norma tributaria, che guardiamo e talvota indaghiamo non vive di vita propria ma di energia riflessa che gli proviene dalla legge di bilancio (una norma a gradi, come dice Kelsen e concetto caro a The Planer). Su altri mondi telematici ebbi a dire che la norma tributaria, rispetto, ad esempio, a quella civile ha una duplice finalità: una immediata che sarebbe l'imposizione ed una mediata che sarebbe l'effetto che tale norma deve produrre secondo la mission ad essa assegnata dalla norma di bilancio, appunto. Ecco perchè la norma tributaria se quella non vige a sua volta è inerte...non sussiste lo scopo di base...la causa (in barba agli Osteggiatori del Griziotti e Vanoni)...beh...il discorso portebbe anche continuare...ma per il momento di più non ho partorito...(faccio un po di riassunto delle congenierie precedenti che mi pare si azzecchino con la presente: la spesa pubblica ex 53 è giustificazione del prelievo...forse non ho detto altro in precedenza...)
Dopo l'ultima discussione nel forum sull'extragettito mi pare d'aver chiuso il cerchio sulla tematica del rapporto giuridico finanziario iniziata qualche mese fa in altri lidi.
L'insoddisfazione mia nasceva dal constatare come il rapporto giuridico d'imposta (anche se tale terminologia è un poco vetusta secondo me rende bene) s'arrestasse di fronte alla definitività o del prelievo o del rimborso. Le situazioni soggettive tipiche di tale rapporto spaziano dal diritto soggettivo all'interesse legittimo.
Constatando che la dazione tributaria trova fondamento nell'art. 53 Cost, il quale come ben sappiamo recita che tutti devono concorrere alla spesa pubblica, poi, ho concluso che pur essendo logico concludere per l'acausalità dell'imposta, tale assunto non può essere inteso in senso assoluto.
Infatti, il conveniente utilizzo doveroso da parte della P.A. della risorsa finanziaria acquisita per fronteggiare le pubbliche spese rappresenta la concretizzazione di un interesse diffuso insito nella collettività.
Tale aspetto mi ha portato, anche, a concludere che il rapporto giuridico d'imposta, pur con spiccati elementi d'autonomia, si stempera (o meglio dire, fa parte) di un più ampio rapporto giuridico finanziario.
Se questo è rapporto giuridico, allora, in esso vengono in rilievo delle situazioni soggettive: da un lato l'interesse diffuso nella collettività affinchè la risorsa finanziaria (scaturente dalle imposte) venga usata (bene) nella spesa pubblica, mentre dall'altro sta la doverosità dell'azione della P.A. nell'essere (doverosamente) efficace ed efficiente in tale destinazione.
Orbene, l'interesse diffuso non può essere azionato dal singolo e non di certo, almeno nell'ambito di un construtto giuridico sociale che non arrivi alla rottura addirittura mediante il rifiuto di fatto alla dazione tributaria.
La Corte dei Conti, in particolare attraverso l'azione del Procuratore Generale ben può esercitare, di fronte appunto alla magistratura contabile, un'azione a tutela dell'interesse diffuso della collettività precitato. Altro discorso è poi l'indagare se i controlli sono efficaci oppure no...
Comunque qua, mi pare, si chiude il cerchio di tale parabola da un punto di vista giuridico.
E' di tutta evidenza che la sanzione esercitabile dal cittadino mediante il voto contrario è totalmente al di fuori di ogni possibile orbita d'indagine giuridica.

"unanimemente si accetta il fatto che il tributo sia costituzionalmente vincolato alla spesa e che tanto il tributo quanto la spesa pubblica siano orientati dagli stessi principi materiali enunciati dall'art. 31 Costituzione spagnola. Per le entrate vige il principio materiale di giustizia nell'imposizione e per la spesa vige il principio dell'equità nelle assegnazione delle risorse pubbliche oltre quello dell'efficienza. Pertanto lo Stato può concretizzare il sistema finanziario per servire i fini sociali attraverso meccanismi che si attuano congiuntamente. Il sistema tributario si attua mediante una adeguata distribuzione dei carichi fiscali e congiuntamente mediante l'equitativo riparto delle spese pubbliche. Tali principi giuridici da cui scaturiscono diritti soggettivi alla corretta spesa pubblica godono della garanzia di copertura giuridica mediante il ricorso di incostituzionalità (regolato dall'art. 161 e 53 Cost. Esp.) al Tribunale Costituzionale. Tale ricorso d'incostituzionalità che attua il diritto soggettivo di ciascun cittadino si propone avverso a quelle leggi tributarie e di spesa che non realizzano una equa ed efficiente spesa pubblica, così come consacrato nei principi costituzionali, senza, perciò, invadere il campo dell'autonomia delle scelte politiche del governo e del parlamento. Il ricorso costituzionale è ammesso anche per le leggi che non provvedano per ommissione".


Mi riconosco appieno in tale compimento del fenomeno tributario. Entrata = spesa. Se ho dei doveri sul tributo devo avere anche dei diritti (che io non osavo andar oltre se non definendoli interessi diffusi) al controllo della spesa. Controllo della spesa che in Italia avviene in modo ridicolo con la legge formale di approvazione del rendiconto, oppure, con tutti i limiti, mediante la Corte dei Conti (ma anche in Spagna sussiste il Tribunale Contabile con le stesse funzioni).

Quindi, esiste un sistema positivo (quello spagnolo, per l'appunto) che concretizza, in modo esemplare, una costruzione corretta e concreta del fenomeno tributario, attribuendo ai cittadini il diritto soggettivo (mediante il sindacato di costituzionalità) delle leggi tributarie di spesa.

Il bello è che leggendo la dottrina spagnola ci si accorge come essa abbia guardato con estrema attenzione quella classica Italiana (Giannini ed altri).

Quà il vero danno lo ha causato il scisma scienza delle finanze e diritto tributario, senza accorgersi d'aver buttato il bambino (diritto finanziario) con l'acqua sporca (la sicenza delle finanze come materia prettamente economica).

Quello che amareggia profondamente è che tale modo di ragionare, assolutamente zoppo e monco, si sia talemente radicato, che le sacrosante ovvietà di cui sopra, attuate mirabilmente dagli iberici, nemmeno vengono prese in considerazione dagli studiosi nostrani.

Altro che rapporto acausale...

Il problema del fenomeno tributario non sta solo nella pessima e caotica tecnica legislativa e non solo nell'evasione.

Non è solo un problema di segnalati e non segnalati -- per carità, tutte cose vere ed importanti -- ma di anche come viene sperperata la risorsa ritratta dal tributo, cioè la spesa...senza dar adeguati mezzi di tutela ai cittadini...contribuenti.

Con quanto scritto ho chiuso definitivamente il cerchio.

venerdì 12 dicembre 2008

dibattito su STUDI DI SETTORE e PROVA

fra mau
I nuovi criteri di terriotrialità.
Leggendo il Sole di ieri non si può che concludere che gli studi
sempre di più assumono una connotazione di strumento di determinazione
catastale che poco si attaglia all'accertamento propriamente detto.
Infatti, le previsioni minuziose in essi inseriti stridono, non poco,
con il loro utilizzo, equo, in sede di contraddittorio: sempre di più
viene sminuita la discrezionalità dell'ufficio.
...Non è questa la strada giusta.
E poi, non gioco dei grandi numeri...fra arretramenti ed avanzamenti
territoriali mi pare che la quadratura del cerchio sia al rialzo.

the planer
Allora se vogliamo dirla tutta lo strumento è un po' quello della
catastalizzazione del reddito.....riduciamo le sanzioni sproporzionate
e parliamone ancora.....
E' un problema di metodo e motivazione dello strumento: dicesi
accertatore colui che fa lo stimatore...... è una professione nuova,
che richiede una cultura di indagine fatta sull'analisi degli indizi
di capacità economica esposti dal contribuente e confrontati con i
dati contabili e non a disposizione.
Manca la cultura della stima perchè si pensa che la partita doppia sia
la base della misurazione della capacità. Ciò è corretto ma elude un
aspetto non meno importante: prevede che l'autodeterminazione sia
fatta dal buon padre di famiglia, che si comporta seconde le
regole....
L'autodeterminazione della capacità contributiva è una prerogativa dei
soggetti che sono dimensionalmente costretti ad operare in un certo
modo e non solo per ragioni fiscali (anzi per tutt'altre)....
Nei soggetti medio piccoli è una pia illusione....
Nella sfera che ci interessa non siamo molto distanti.....se
l'evasione è sui ricavi, mediamente per chi non lavoro per sostituti
che hanno interesse alla regolarità contabile, è ovvio che debbo avere
o delle forme di catastalizzazione senza controllo o un controllo
diffuso che non può essere analitico....
anche perchè se si lavora sulla sanzione, mea opinio, rende meno
probabile il contenzioso e valorizzo il contraddittorio
procedimentalizzando ulteriormente l'accertamento parametrico
incentrando il tutto sul contraddittorio....
Avere poi interlocutori nell'A.F. ma anche a livello di professionisti
in grado di interfacciarsi su questo necessita di un percorso che DEVE
ESSERE CONGIUNTO....

leda rita corrado:
Avete letto la sentenza 2816/2008 della Cassazione sui parametri ...
Cosa ne pensate?
Sto tentando di spacchettarla, anche alla luce della precedente
17229/2006 sugli studi (stesso relatore, Meloncelli).
Quello che meno mi convince è il passaggio presunzioni semplici >
"inversione" dell'onere della prova sul contribuente.
Mah.. sarà perché non ho alcuna preparazione nelle materie giuridiche,
però però..


fra mau
...mah! le riflessioni su cui mi sono spremuto io sono le seguenti:
le presunzioni semplici possono essere qualificate o non qualificate
(le circ. min, mi sembra, e tanto meno i commenti sulla stampa
divulgativa, mai hanno posto in evidenza tale ovvietà.
Inoltre: ex. art. 2729 c.c. solo quelle dotate dei requisiti di
gravità, precisione e concordanza possono fondare la decisione del
giudice, eventualmente, il quale le valuta, però, sempre il suo
prudente apprezzamento secondo l'art. 116 cpc.
Se la presunzione non ha tali requisiti essa degrada a semplicissima o
mero indizio di per se non in grado di fondare la decisione.
Gli studi, anche secondo la circ. 5/08, sibillina ed ambigua nella
parte dove dice che, a parte gli sperimentali, sono presunzioni
semplici con inversione onere della prova, dice, contraddicendosi, che
occorre la corroborazione del contraddittorio per ritagliare l'abito
sul contribuente.
Insomma gli studi da inerti output statistici vanno attivati e
validati in concreto sul contribuente...e qui ritorno a bomba sulla
loro natura spuria e sincretistica: sono strumento di determinazione
catastale o d'accertamento?...ragioniamo su ciò de iure condendo, cioè
senza essere condizionati dalla loro attuale collocoazione normativa.

leda rita corrado
con l'espressione "presunzione semplice" la Corte ha voluto
dire "il collegamento dal fatto noto A al fatto noto B proposto
dall'ufficio è ragionevole", almeno a questo stadio conoscitivo.
Usando parametri e contraddittorio, l'ufficio ha condotto una
istruttoria diligente e ha posto in essere una inferenza ragionevole
nell'avviso di accertamento.
La parola passa al contribuente (comunque), il quale tenterà di negare
l'esistenza del fatto noto A, smontare la inferenza oppure metterà sul
tavolo nuove carte.
E via di seguito, nella normale (suppongo) dialettica del processo
tributario.
Palla al centro.
Tocca al giudice (semplifico, tralasciando le problematiche relative
ai suoi poteri, ecc. ecc.), il quale valuterà la persuasività dei
ragionamenti delle parti e deciderà.
Ora quello che non capisco è l'uso della espressione "inversione
dell'onere della prova".
Cosa diavolo c'è da invertire?
Ieri sera ne parlavo con un processualcivista (veramente lui parlava,
mentre io tentavo solo di ascoltare, ma mi son persa tra una Allorio e
l'altro), il quale trovava il passaggio della motivazione di
Meloncelli corretto.

the planer
Se formo un atto e te lo mando, aldilà del contenuto, invitandoti al
contraddittorio (poniamo prima nella procedura di accertamento da
studio) e ti dico non sei congruo e coerente per questo motivo per
quest'altro, oppure non ti dico nulla ma solo che non sei congruo e
coerente....come contribuente allora io mi presento e dico a te
funzionario: le tue ragioni non sono corrette perchè etc...oppure
guarda che il tuo atto non è motivato non capisco perchè mi
accerti....se io non mi presento, rifiuto contraddittorio, oppure
vengo e ti dico non ho nulla da dire....è ovvio che l'ufficio possa
emettere l'atto ed il giudizio impugnatorio sarà strutturato con
argomentazioni del contribuente che dovranno evidenziare vizi di
forma, di procedura ma anche di merito dell'atto al fine di ridurre la
pretesa o annullarla....impugnazione-merito.....
La Cassazione focalizza proprio l'attenzione sul contraddittorio
perchè nel processo tributario, come il civile, il giudice può trarre
argomenti di prova anche dal comportamento delle parti durante il
processo ex art. 116 (Il giudice puo' desumere argomenti di prova
dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente,
dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha
ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel
processo). Essendo il processo tributario un processo di impugnazione
è ovvio che il comportamento dell'attore, in senso processuale, cioé
del contribuente, si rifletta anche su quello che dice avendo egli
incardinato il giudizio

leda rita corrado
Condivido, ma il punto che non mi è chiaro è un altro.
Sono proprio una ignorante testona: continuo a non capire perché
abbiano usato l'espressione "inversione dell'onere della prova".
Diciamo che mi sembra pleonastica..

fra mau
...vedi Leda, dopo alcune dissertazioni in questo forum mi sono
abbastanza convinto che l'utilizzo di strumenti presuntivi quali gli
studi, renda il nostro ordinamento tributario spurio o sincretistico
(a natura ibrida).
Gli studi sono oggi costruiti come strumento che dovrebbe operare nel
momento sostanziale (di determinazione del reddito) e non nella fase
d'accertamento.
Essi, come ho detto in precedenza, esercitano una pressione (le
ragioni le conosciamo) notevole sul momento sostanziale che però è
normato secondo l'analiticità.
...Insomma, parafrasando dissertazioni costituzionali, stiamo andando
verso una riforma a normativa invariata.
Abbiamo anche, più o meno concordemente, concluso che la PFC di
tremontiana memoria (a prescindere da ogni giudizio politico) in se
conteneva, invece, elementi di coerenza sistemica.

(interventi di Leda Rita Corrado, The Planer e Fra Mau)

giovedì 11 dicembre 2008

L’esenzione (rectius esclusione) IRAP dei minimi.

La risposta del sottosegretario all'Economia, Alfiero Grandi, alla recente
interrogazione presentata alla Commissione Finanze della Camera dall'On.
Maurizio Leo, pone in evidenza alcune contraddizioni di fondo caratterizzanti
l'attuale disciplina in tema di applicazione dell'Irap agli imprenditori c.d. minimi.
Innanzitutto occorre notare l'improprietà dell'uso del termine giuridico/tributario
"esenzione": con tale accezione la dottrina unanime intende la non
assoggettabilità ad imposta di fattispecie che, secondo la disciplina generale
dell'istituto, realizzano in se tutti i requisiti previsti dalla norma ai fini
dell'applicazione del tributo (requisiti sia oggettivi che soggettivi).
Un'esenzione si può, quindi, giustificare dal un punto di vista costituzionale
solamente se il fine agevolativo perseguito assuma in se un valore costituzionale o
paracostituzionale tale da consentire una deroga ai valori sanciti agli artt. 53 e 2
della nostra Carta fondamentale, di concorso solidale, mediante l'imposta, alla
spesa pubblica. Orbene, se questo è vero ecco che allora un'esenzione da imposta
non può di certo essere fondata sul fine di perseguire la semplificazione degli
adempimenti (fine pregevole ma non di rango costituzionale).
A parere di chi scrive, allora, la formulazione "atecnica" di cui alla Legge
244/2007, art. 1, comma 104 "I contribuenti minimi sono esenti...", oltre che ad
essere deplorevole sotto il profilo della tecnica normativa, nasconde una ratio
diversa: essa assume, per così dire, valore interpretativo in quanto altro non
statuisce che i soggetti, siano essi professionisti od imprenditori, non sono
soggetti all'Irap in quanto, essendo carenti del requisito dell'organizzazione
(contribuenti individuali, senza dipendenti, con modesti volume d'affari e beni
strumentali) non realizzano il presupposto impositivo voluto dall'imposta
regionale.
Nonostante l'art. 1, comma 2 della Legge 212/00 (statuto dei diritti del
contribuente) evidenzi come una norma interpretativa debba essere in tal
modo qualificata espressamente, in considerazione del fatto che in tal parte lo
statuto non esprime principi generali a c.d. copertura costituzionale, altra e
successiva norma di legge, di pari rango, di fatto, ex preleggi c.c., come nel caso
di specie, ben può assumere efficacia interpretativa implicita. Se così è, allora,
conseguenza logica vuole che anche coloro che optano in modo concludente per il
regime normale di determinazione del reddito e delle altre imposte, non
assoggettandosi alla nuova disciplina dei minimi possano fondatamente ritenersi
esclusi dall'applicazione dell'Irap.
A tale conclusione porta anche la seguente considerazione: pur se si volesse
impropriamente considerare quale esenzione la norma citata della finanziaria
2008 essa, a parare di chi scrive, potrebbe subire critiche sotto il profilo
costituzionale, sia per l'incoerenza ed irragionevolezza, per quanto evidenziato
appresso ma, ancor più, nella parte di essa in cui non si prevede "l'esclusione" da
irap anche da parte di chi non applica il regime dei minimi pur avendone i
requisiti, violando, sotto tale profilo, il principio di uguaglianza di cui all'art. 3
Cost.
Infine, pare opportuno mettere in evidenza altro aspetto degno di nota: le
sentenze di inizio 2007 della Corte di Cassazione, come risaputo, recano
l'affermazione che l'imprenditore, a differenza del professionista, è da intendersi
sempre organizzato (e come tale sempre assoggettabile al tributo regionale)
rientrando, appunto, tale aspetto fra i requisiti di cui all'art. 2082 c.c. A parte
l'evidente valore di obiter dictum di tale passaggio occorre, però, ugualmente
precisarne funditus la sua portata in ambito tributario. Una tematica cara alla
dottrina tributaristica è quella che riguarda il significato che concetti elaborati da
altre branche del diritto, in ispecie in ambito civile, possano assumere in campo
tributario. Si è concordi nel ritenere che la specificità della materia fiscale porti a
connotare diversamente aspetti altrove normati od elaborati. E' il caso appunto
del concetto d'imprenditore "fiscale": l'art. 55 del D.P.R. 917/86, al comma 1,
precisa che sono da assoggettarsi alla disciplina del reddito d'impresa anche
quelle attività che pur non essendo organizzate in forma d'impresa (secondo il
codice civile) rientrano nell'ambito d'applicazione di cui all'art. 2195 c.c. (impresa
commerciale). Orbene la conclusione che si può trarre, allora, è la seguente: sotto
il profilo civilistico se un'attività, pur astrattamente rientrante sotto l'egida
dell'articolo da ultimo citato, non presenti il requisito dell'organizzazione, mai
potrebbe essere considerata impresa ai sensi dell'art. 2082; non così, invece, ai
fini fiscali, secondo quanto statutito dall'art. 55 TUIR, per il quale, come visto,
possono ben esistere imprenditori non organizzati. Tale norma, assumendo
carattere di portata generale non può non ricoprire, perciò, un preciso siginificato
anche in ambito Irap.
(di Mauro)

martedì 9 dicembre 2008

INFORMATIVA DI BILANCIO IPERTROFICA?

...provocazione da Fra Mau: per una corretta informativa di bilancio basterebbero due paginette...
Marcello risponde:
mi permetto di dire due cose su una materia a me estranea ;)
1) le "due paginette" esistono, si chiamno conto economico e stato
patrimoniale (negli IFRS sono 4, c'e' anche il rendiconto finanziario
e le variaizoni del patrimonio netto). Esiste in letteratura
americana una serie di studi sulla "non visibilita'" dei dati forniti
in nota integrativa. quando il FASB, nello SFAS 33 del 1979, impose di
pubblicare insieme i dati a costo storico e quelli a valori correnti,
dopo alcuni anni concluse che i dati forniti in base allo SFAS 33
erano irrilevanti:reducing the number of disclosures and simplifying
the remaining require
ments might enhance the usefulness of the information (sfas 89, basis
for conclusions, par. 115: http://www.fasb.org/pdf/aop_FAS89.pdf)

2) che l'inefficienza informativa sia (con)causa della crisi e'
un'asserzione da circostanziare. Facciamo riferimento al valore
semantico dell'informazione (gli utilizzatori non sono stati messi in
condizione di capire come andavno le cose) o a quello pragmatico (il
Fairvalue in quanto prociclico induce comportamenti sbagliati)? prima
circoscriviamo l'oggetto dell'indagine, poi discutiamo del "post hoc
propter hoc". Io credo fermamente che il pesce, come al solito, puzzi
dalla testa, e che il problema stia non nell'informazione contabile,
ma nell'incultura di chi legge i dati. O meglio: le attuali regole sul
bialncio (italiane, anglosassoni, un po' tutte) sono dei compromessi
migliorabili e non fondati - ne' le une ne' le altre - su un rigoroso
approccio concettuale. Pero' il panico da valutazione a FairValue
degòli strumenti finanziari e' ingiusitficato e contraddice l'ipotesi
dei mercati finanziari efficienti (http://en.wikipedia.org/wiki/
Efficient_market_hypothesis): l'informazione che i titoli sono
crollati in borsa esiste gia' e dovrebbe essere gia' incorporata nei
prezzi delle azioni di chi quei titoli detiene, per cui la teoria
economica ci dovrebbe dire che gli investitori hanno gia' fatto
scontare tale informazione sulle quotazioni dei titoli delle societa'
quotate che detengono titoli al veleno. Unico problema potrebbe
essere - sempre secondo la EMH - se nessuna sapeva chi ha in
portafoglio i titoli deprezzati...

The Planer interviene
Esprimo un mio paradosso: sarebbe più facile applicare il metodo del
costo storico nei paesi di common law che non applicare il fair value
nei Paesi di civil law.

La ragione è presto detta: nei paesi di common law, il criterio di
fair value, come mi pare, per le mie conoscenze dell'impianto
contabile, lo scopo non è quello delle completezza oggettiva dei dati
ma della potenziale efficacia ed effettività del dato. Sapendo che
comunque non è possibile una rappresentazione veritiera e corretta, in
senso oggettivo (non mi si travisi) viene caricata di significato la
valutazione dei dati che avviene attraverso l'interprete. non
peraltro, attendo smentite, nella tradizione di common law, vedi Uk,
non esiste una disciplina del falso in bilancio che non rimandi alla
valutazione giudiziale del danno e alla gravità delle falsità e della
possibilità di conoscere e rappresentare meglio quanto esposto (da qui
il problema dell'accesso al dato da parte del controllato).
Probabilmente di fronte al costo storico si chiederebbe al revisore:
vabbè i dati me li hai rilevati, è tutto, c'è qualcosa di più
complessivamente nella valutazione dell'azienda.


Nei Paesi di civil law vi è invece la convinzione che attraverso la
regola, anche contabile, si eviti la discrezionalità; quindi
l'introduzione di regole che accentuano tale aspetto (completezza che
quanto più è complessa la struttura da controllare tanto più sarà
articolata) fanno apparire meno oggettivo il dato contabile (perchè ci
sta la percezione che la norma sia oggettiva)

ed, infine, conclude Marcello:
bisogna distinguere tra anglosassoni e anglosassoni.
l'UK e' la prima nazione ad introdurre il rpincipio dell'auditing e
del "true and correct" (modifica prima alle norme sulle societa'
quotate a fine 800, poi con la riforma del companies act, dove nel
tempo diventa "true and fair"). storicamente quindi la contabiltia'
inglese si basa sul "professional judgement" del redattore.
in USA invece l'approccio, fin dagli anni 30 della SEC, e poi con il
FASB successivamente, e' diverso, molto piu' regolamentato e molto
piu' analiticamente. quindi meno spazio alla valutazioen
professionale, e meno spazio a clausole "overriding" come il nostro
2323 c.c. (la clausola override in teoria c'e', ma ci sono
pronunciamenti che dicono che non e' ammesso a un AICPA certificare un
bilancio che si discosta dagli USGAAP). qui il bialncio "fairly
presents" sono se e' "in conformity with USGAAP" (anche se dopo il SOX
e' tornato uno spazio che direi piu' di responsbailtia' individuale,
che non di "professional judgement" del redattore)
gli australiani invece hanno avuto vari periodi, abbracciando, poi
lasciando, poi riprendendo il "true and fair"
negli USA poi, una monografia fondamentale degli anni 40 (di Paton e
Littleton) ha guidato fino a pochissimo tempo fa i principi USGAAP
secondo regole identiche a quelle della IV direttiva (realization,
matching, costo storico, etc.) e solo molto di recente gli USGAAP
hanno virato in modo deciso verso il Fair Value. c'erano, sin da tempi
molto remoti (una monografia di McNeal del 1939, per intenderci) voci
per le valutazioni a valori correnti, monografie AICPA (Thomas,
allocation problem, 1 e 2) che sottolineavano la discrezionalita e
quindi inattendibilità del costo storico. Per non aprlare dei soliti
Chambers dall'australia e Sterling in USA.
Anche il framework FASB nato e formatosi tra fine '70 e anni 80, in
teoria si basa su ritgorosi principi di relevance e reliability del
dato contabile, ma lo sviluppo dei GAAP ha sempre lasciato da parte il
problema della cost allocation e ha sempre mantenuto il costo storico,
soprattutto per effetto di imposizoni della SEC (neancheata ,
ricordiamo, perche' prima del 1929 le societa' americane rivalutavano
ad libitum i loro cespiti), tesi di recente argomentata con forza in
un articolo apparso su Accounting and Business Research:
http://www.highbeam.com/doc/1P3-1305668501.html
il FV, poi, e' una scatola vuota in cui ognuno mette cio' che crede.
l'unica (a mio parere) giustificazione razionale coerente (non
necessariamente condivisibile, ma coerente) del Fv e' quella basata
sul Curren Selling Price Reporting (CSPR): il Fv si usa perche' il
bilancio deve esprimere una grandezza oggettiva come misura della
ricchezza e l'unico criterio di valutazioen ritenuto oggettivo (ossia
estraneo ai convincimenti soggettivi del delr edattore) e' il selling
price: quindi il FV per essere coerente deve basarsi solo sul Mark-to-
market, il mark-to-model introduce elementi di opinabilita' e
distorsione individuale, che riporta alle problematiche del costo
storico e della allocazione dei costi (arbitraria) attraverso
ammortamenti, impiutazoni, etc. etc.
Il CSPR rifugge dal rischio di usare dati basati sul futuro, su
previsioni, perche' si dice che le previsioni NON sono fatti, ma
opinioni, da ascrivere alla financial analysis e non al financial
reporting.
insomma, il FairValue nella versione "exit-value" (vedi recente
discussion paper anche dello IASB sul punto) serve, fondamentalmente,
ad assicurare l'omogeneita dei dati di bilancio per poterli sommare
(soli i dati misurati al prezzo di rpesumibile realizzo sono misurati
in modo omogeneo) e ad evitare di introdurre stime del redattore.
portare il Fv ad un mark-to-model significa mescolare l'analisi
finanziaria (calcoli previsionali) con il bialncio (che invece
dovrebbe presentare una "dated position" e non qualcosa di atteso nel
futuro)
Il costo storioco non e', a rigore, "auditable", perhce' vero che la
transaizone originaria e' vera e verificabile, ma poi i criteri di
ammortamento, allocazione, imputazione etc sono invece arbitrari e
slegati da quqalsiasi empiricita': come fa un revisore a dire "si', e'
vero, quest'anno l'immobile si e' consumato per il 3% come da
coefficiente ministeriale"?
mi fermo: ho scritto anche troppo...
(di Marcello Tarabusi)

ABUSO DEL DIRITTO

L'abuso del diritto è un'istituto che va maneggiato con cura....la sua
applicazione ha un senso nell'ambito iva, dove non esiste una norma di
carattere specifico per prevenire aggiramenti fiscali dettati da
ragioni esclusivamente o più frequentemente prevalentemente fiscali.
Nell'ambito dell'imposizione diretta non se ne avverte assolutamente
la necessità, posto che l'ordinamento ha in sè norme sostanziali
(transfer pricing, black list, 109 entro certi limiti) o
parasostanziali (a seconda della collocazione che vogliamo dare al 37
bis) che consentono in qualche modo di reprimere fenomeni di
aggiramento tributario....
In realtà il problema effettivo, che la giurisprudenza e a mio avviso
poco la dottrina pure, hanno toccato è proprio il discorso
dell'aggiramento, anzichè del vantaggio economico dell'operazione....
Ma per individuare l'aggiramento occorre avere ben presente che i
principi aggirati (assenza di norme di principio nell'ordinamento
tributario) non sono codificati:
si trovi la norma che individua il salto d'imposta, il divieto di
compensazione intersoggettiva della perdite, etc....
La giurisprudenza di cassazione sull'abuso del diritto in materia di
II.DD., che ha un solo relatore, in realtà va calata altresì nel
contesto: si tratta spesso di casi vecchi in un ordinamento tributario
che non aveva norme specifiche di contrasto....
Peraltro ripeto è un po' spinta....può essere anche che a breve vi sia
un revirement....
Non che non ci siano i principi, per carità...un giurista potrebbe
dire: cosa dici ci sono le preleggi del C.C. che consentirebbero
l'applicazione comunque nell'ambito tributario.....

Non mi riferisco ovviamento al dato normativo.....mi riferisco alla
diffusione del concetto e alla sua elaborazione concettuale per
l'applicazione....
(di The Planer)

ROBIN TAX...RIFLESSIONI

l'esigenza di semplicita' e' indiscutibile
in diritto tributario, ma bisogna distinguere tra la POSIZIONE della
norma e la sua APPLICAZIONE
il legislatore non dovrebbe essere rozzo nell'elaborazione dei
concetti, ma essere talmente "FINO" da renderli comprensibili anche ad
un oèperatore rozzo (o che ha poco tempo, che e' come dire che agisce
rozzamente).
quindi, va benissimo dire "33% ai petrolieri", piu' semplice e chiaro
e facile da applicare di cosi'...
ma bisogna che quel 33% si fondi su una qualche caratteristica del
reddito che l'avvocatura dello stato, nel giudizio di
costituzionalita', possa argomentare per dimostrare la razionalita'
della scelta.
Forse, per come e' fatto lo scrutinnio costituzionale, potrebbe
spettare ai petrolieri l'onere di dimostrare l'irrazionalita' della
norma (si presume la razionalita' del legislatore? anche di quello
italiano??)
"i petrolieri sono piu' ricchi" non mi sembra pero' un gran argomento
da portare alla Consulta, nemmeno se aggiungiamo un "lo sanno tutti".

toranado la problema concreto: se sono in grado empiricamente (anche
non "scientificamente" o "incontrovertibilmente", ma
"ragionevolmente") di supporre che i petrolieri sono "meglio" ricchi,
ben venga poi una norma semplice e lineare. ma la semplicita' e' un
pregio della sintesi, non dell'analisi (salvo semrpe il sacrosanto
rasoio di Occam)
anche nello scrivere e' piu' faticoso essere brevi che prolissi (e se
lo dico io....)


in termini pragmatici mi apiono interessanti le osservazioni che si
leggono sulla "partita di giro" ENI.
(di Marcello Tarabusi)

OGM E TASSAZIONE IDEOLOGICA

E' noto che le industrie di OGM hanno "concluso" (imposto?) contratto di fornitura di sementi ad alta resa (per loro o per i contadini?) ad agricoltori per lo più dislocati nel sud del mondo.

Fin quì nulla di strano, tali società transnazionali fanno impresa.

Peccato, però, che tali semi OGM non si replicano, per cui, ad esempio il chicco di grano prodotto dalla spiga, se seminato, non è in grado di riprodursi, insomma hanno inventato sementi one shot (sterili).

Orbene, così facendo l'agricoltore dovrà sempre rifonirsi dalle aziende produttrici.

Il profitto che esse realizzano è idenito a quello di altre imprese anche se numericamente uguale?

Oppure esse dovrebbero subire una tassazione discriminata?

Oppure tale tassazione discriminata è inficiata da una base ideologica che non può torvar campo in diritto tribuatrio?

Oppure l'ideologia altro non è che scelta politica del legislatore cui il diritto tributario deve adoperarsi, salvo limiti costituzionali, in modo servente?

(di Mauro)

PERDITE

...poichè il reddito, quale che sia la nozione che si adotta dello
stesso, si sviluppa in una dimensione temporale, più è breve l'arco di
tempo considerato, più è l'influenza sul risultato di periodi di
singoli eventi, e tanto è minore l'attitudine del risultato stesso ad
indicare l'effettiva capacità di contribuire del soggetto, più è ampio
detto arco di tempo, meno significativa è l'influenza dei singoli
eventi sul risultato del periodo, e tanto maggiore è l'attitudine di
questo risultato ad indicare l'effettiva capacità contributiva del
soggetto, sino ad assumere una configurazione definitiva quando detto
arco coincide con la vita di quest'ultimo

Si ipotizzi che nei primi mesi di un certo anno tizio abbia una
perdita di lavoro autonomo di 150 e nei secondi un reddito di 50 ed
inoltre che nei primi sei mesi dell'anno successivo abbia una perdita
di lavoro autonomo di 50 e nei secondi un reddito di 150. Se la legge
fissasse come periodo di imposta il semestre, si avrebbe una perdita
di 150 un reddito di 50 una perdita di 50 poi un reddito di 150, con
un'imposta complessiva, in assenza di riporto e con aliquota del 10
per cento, di 20.
Se si assume l'anno come termine di riferimento, si avrebbe per i due
anni un'imposta pari a 10. Se fosse il biennio un'imposta pari a 0.
(di The Planer)

sabato 6 dicembre 2008

IAS E PRESSIONI DA LOBBY?

la letteratura internazionale (basta leggere la European Accounting
Review, ad esempio) e' piena di articoli su questo dibattutissimo tema
il FASB e' sicurament emolto piu' soggetto a pressioni (quanto tento
di mettere qualcosa sulle stockoption tipo l'IRFS 2 oggi fu massacrato
anche dal congresso; oggi la SEC puo' sospendere lo SFAS 157, etc.) e
soprattutto in america l'organo che decide su molti topic e' l'EITF
dove sono rpevalenti, enlla compsoziione, i membri dell'accounting
professionale, quindi si dice che gli USGAAP hanno principi rigidi e
draconiani approvati dal FASB, e poi regole applicative "morbide" e
eccezioni su casi concreti decide dall?EITF.
lo IASB in teoria e' piu' indipendente (anche sulla crisi finanziaria
il recente documento cerca di essere abbastanza rigoroso, anche se la
modifica allo IAS 39 e' una sconfitta pura e semplice). Anche L'IFRIC
e' molto meno attivo e piu' rigoroso dell'EITF.
pero' molti ritengono che l'endorsement comunitario abia messo
un'ipoteca politica sullo IASB (vedi il caso del carve-out dello IAS
39 al momento dell'endorsement).
Io personalmente credo che gli IFRS risentano del fatto che, ancorche'
si parli e si scriva spesso del principio di dare "informazioni utili
all'investitore", purtroppo tutto l'impianto sistematico e' troppo
orientato al punto di vista degli emittenti (issuers) il bialncio.
insomma, al di la' della constituency della IASB foundation, non si
puo' negare che - come in tutte le realta' economiche - l'attivita' di
lobbying sia presente a tutti i livelli e che la piu' pericolosa sia
quella che non si vede. in aprticolare, tutto il sistema del fair
value si fonda su un principio che ne contraddice il fondamento
sisteamtico: il fair value e' visto come un "valore fondamentale"
basato su previsioni del mangement, il che riporta al punto di vista
degli issuers...
in questo quadro non mi e' piaciuto troppo nemmeno Sir David Tweedie
che disprezza i bean counters e rivendica un ruolo proattivo sul
mercato dei contabili
http://www.iasb.org/News/Announcements+and+Speeches/Sir+David+Tweedie...
io credo che si debba un po' tornare a contare i fagioli (Richard
Macve nel 1979 sotto il titolo "Quaerere verum vel recte numerare?"
scriveva piu' o meno le stesse cose che oggi "scopre" Tweedie) (di Marcello Tarabusi)

DOMANDE SENZA RISPOSTA E ...FINANZA AZIENDALE

E' così complicato tassare i derivati in in Italia?Come si tassano,
qualcuno mi sa dire, sempre che io abbia gli strumenti per capire...?
Si può realizzare neutralità d'imposta con tali strumenti complicati,
ma realizzare degli arbitraggi se nella base imponibile Ires ho
plusvalense e minusvalenze derivanti da attività finanziarie a se
stanti, che non fanno parte di un derivato,.? (di Silvia)

CONTRASTO ALL'EVASIONE FISCALE

Ok Planner quindi ammetti che il "contrasto di interessi" funziona
solo se lo Stato rinuncia totalmente al prelievo sul settore (es. del
dentista: faccio emergere le prestazioni dei professionisti, ma il
gettito corrispondente mi serve per compensare la detrazione del 40%
per i clienti). In fondo la conclusione che il contrasto di interessi
non funziona per aumentare il gettito l'aveva fatta anche Visco (e
forse era una delle poche cose che aveva capito sull'evasione).

Per gli elenchi degli evasori continuo a non essere convinto. Tieni
presente che le liste sarebbero date in pasto ai giornali che
riporterebbero titoli del tipo "Tizio nella lista nera degli evasori"
- "Anche Caio non paga le tasse", quando magari sono stati condannati
perché non hanno pagato l'Irap in quanto ritenevano di non avere
autonoma organizzazione, o perché non erano congrui con gli studi di
settore, o magari perché la scissione era elusiva e via enumerando....
E immagino già i commenti del classico uomo medio che legge il
giornale: "Và, và, toti lader e imbrugliù" (traduzione: "sono tutti
ladri ed imbroglioni"), salvo poi fare lavoretti in nero ai
conoscenti, chiedere lo sconto all'idraulico dato che "la fatùra la
scariche mia" (trad: la fattura non la scarico), chiedere al datore di
lavoro di pagare gli straordinari fuori busta perché "con tote chele
tratenute che ghè, men resta nient" (trad: con tutte quelle trattenute
che ci sono non mi resta niente).
Parliamoci chiaro: il fenomeno evasivo è troppo diffuso per poter
mettere alla gogna solo qualche povero disgraziato (che magari ha solo
perso un contenzioso con il fisco senza l'intento di frodare).
Lo diceva anche un uomo saggio molti anni fa: "Chi è senza peccato
scagli la prima pietra!" (di Claudio Cerutti)

venerdì 5 dicembre 2008

ISTANZA DI RIMBORSO E DICHIARAZIONE INTEGRATIVA

Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Recupero imposte versate in eccesso – Presentazione dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8- bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 dopo il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo – Inammissibilità – Istanza di rimborso ex art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – Ammissibilità – Istanza di interpello ex art. 11 della L. 27 luglio 2000, n. 212
(Agenzia delle Entrate – Direzione centrale Normativa e Contenzioso)
L’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto alla scrivente di chiarire la posizione interpretativa espressa con la risoluzione del 14 febbraio 2007, n. 24/E, in merito all’emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8­bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, ovvero con la presentazione di un’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Con la predetta risoluzione l’Agenzia delle entrate ha riaffermato il principio, già enunciato con la circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E, secondo cui decorso il termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera e), del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, ossia il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo a quello per il quale è stato commesso l’errore, non è più possibile presentare dichiarazioni integrative con esito favorevole per il contribuente. Nel medesimo documento di prassi, inoltre, l’Amministrazione ha rilevato che il principio di emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente, mediante presentazione di istanza di rimborso nei termini previsti dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, è riferito alla disciplina vigente prima delle modifiche apportate al D.P.R. n. 322 del 1998 dal citato D.P.R. n. 435 del 2001. Al riguardo l’Avvocatura rileva che dall’esame della successione delle norme nel tempo risulterebbe la volontà del legislatore di ampliare il termine previsto a favore del contribuente per chiedere il rimborso delle imposte pagate in eccedenza; diversamente l’orientamento espresso dall’Amministrazione finanziaria avrebbe l’effetto di ridurre eccessivamente tale termine facendolo coincidere con quello per la presentazione della dichiarazione integrativa con esiti allo stesso favorevoli. Infatti, il termine previsto per il rimborso dei versamenti effettuati in eccedenza è passato da diciotto a quarantotto mesi, a seguito delle modifiche apportate all’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 ad opera dell’art. 34, comma 6, della L. 23 dicembre 2000, n. 388. Tale ampliamento sarebbe dipeso dalla volontà del legislatore di riavvicinare i termini di decadenza per l’accertamento da parte degli uffici dell’Amministrazione finanziaria a quelli applicabili al contribuente per richiedere il rimborso, in modo da evitare differenze sostanziali che facevano dubitare della costituzionalità del sistema, a causa dell’eccessivo squilibrio tra le posizioni delle parti del rapporto tributario. La riduzione ad un anno del termine per presentare la dichiarazione con esiti favorevoli al contribuente e la conseguente impossibilità di ripetere le somme versate in eccesso tramite una richiesta di rimborso ai sensi del citato art. 38, potrebbe far nuovamente dubitare della costituzionalità del sistema per irragionevolezza della diversità dei termini. In breve, l’Avvocatura dubita che l’introduzione di un termine di decadenza ristretto risponda alle enunciate finalità di razionalizzazione e semplificazione. Per ovviare alle esposte perplessità interpretative ed evitare la possibile proliferazione dei giudizi l’Avvocatura ha chiesto alla scrivente di approfondire la questione. In proposito si osserva che l’orientamento giurisprudenziale da cui muove la citata risoluzione n. 24/E del 2007, secondo cui il principio di emendabilità della dichiarazione senza limiti di tempo, affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 6 dicembre 2002, n. 17394 e ribadito con la successiva sentenza della Sezione tributaria del 26 settembre 2003, n. 4238, va riferito alla disciplina vigente prima della modifica apportata dal ricordato art. 2, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 435 del 2001, non è stato smentito da successive pronunce della Suprema Corte ed anzi ha trovato implicita conferma nella recente sentenza della Sezione V, del 18 ottobre 2007, n. 21944, nella parte in cui la Corte asserisce che le dichiarazioni fiscali: “… sono assoggettate a vincoli di forma e di tempo che inducono ad affermare la loro irretrattabilità. Esse, pertanto, al di fuori delle ipotesi di errori materiali o di calcolo – le quali non richiedono un’espressa rettifica, in quanto desumibili ab intrinseco dalla stessa dichiarazione – possono essere emendate e, in buona sostanza, ‘sostituite’ soltanto entro i termini previsti per una valida dichiarazione”. La stessa Corte ha, peraltro, recentemente ribadito che: “il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata, ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della dichiarazione stessa, dovendosi riconoscere al contribuente – in un sistema improntato ormai, per effetto dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento, ed avuto riguardo al concetto di capacità contributiva, che costituisce uno dei principi fondamentali della Costituzione in materia tributaria – la possibilità di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede al momento della dichiarazione, attraverso la procedura disciplinata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973” (così, da ultimo, Cass., Sez. V, sent. 8 giugno 2007, n. 13484, ed in senso conforme già Sez. V, sentenza 10 settembre 2001, n. 11545 e, SS.UU., sent. 25 ottobre 2002, n. 15063). Dovendo coniugare i due citati filoni interpretativi si giunge alla conclusione che al contribuente non è consentito presentare una dichiarazione correttiva con esito a sé favorevole oltre il termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, ma lo stesso può, invece, recuperare l’eventuale imposta versata in eccesso, attraverso un’istanza di rimborso presentata ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973. Il che non è senza conseguenze dal punto di vista procedurale e sostanziale, poiché, stando alla previsione dell’art. 41, comma 2, del D.P.R. n. 602 del 1973, per i crediti derivanti dall’attività di liquidazione delle dichiarazioni il rimborso deve essere effettuato d’ufficio, mentre il rimborso di cui al precedente articolo 38 del citato D.P.R. n. 602, presuppone un’apposita istanza, da presentare entro un preciso termine previsto a pena di decadenza, e richiede che sia il contribuente a dar prova delle circostanze che legittimano la ripetizione di quanto versato in eccesso (in tal senso si è espressa la Cassazione, Sez. V, sentenza 20 dicembre 2002, n. 18163). Occorre, infine, individuare il momento da cui decorre il termine decadenziale fissato dal più volte richiamato art. 38; anche sotto tale aspetto soccorre l’orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui: “il principio affermato in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 8199 del 17 aprile/29 agosto 1997 e n. 8606 del 23 maggio 1996) secondo cui è dal momento del pagamento del saldo d’imposta che inizia a decorrere il termine di rimborso di tributi non dovuti si riferisce, come esplicitamente chiarito, ai casi di eccedenze di versamenti in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà, cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva. L’acconto d’imposta in tali casi deve ritenersi versato in forza di un titolo ancora precario e provvisorio, sicché solo dalla chiusura del periodo d’imposta il contribuente può avere conoscenza dell’importo esatto da versare. Allorché, invece, l’obbligazione tributaria sia inesistente sin dal momento del versamento, avvenuto per errore materiale, duplicazione d’imposta o originaria inesistenza totale o parziale della pretesa impositiva, è dalla data del versamento stesso, anche se avvenuto a titolo di acconto, che inizia a decorrere il termine entro cui va proposta l’istanza di rimborso, come espressamente disposto dall’art. 38, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973” (Così Cass., Sez. V, 7 luglio 2000, n. 9156, ed in senso conforme sentenze: 10 gennaio 2004, n. 198, 20 settembre 2005, n. 18522, 15 settembre 2006, n. 20057e da ultimo 20 dicembre 2007, n. 26863). Pertanto, al fine di individuare il dies a quo da cui inizia a decorrere il termine previsto a pena di decadenza per presentare istanza di rimborso occorre stabilire se l’obbligazione tributaria esisteva o meno al momento del pagamento. Nel caso in cui il pagamento è stato effettuato in totale assenza del presupposto, il termine inizia a decorrere dalla data del pagamento stesso, mentre, nel caso in cui la richiesta di restituzione riguardi eccedenze di versamenti in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà, cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva, il termine decorre dal momento del versamento del saldo. In conclusione, ad integrazione dei chiarimenti già forniti, laddove non sia possibile (cfr. risoluzione 30 gennaio 2008, n. 25/E) ovvero non sia più possibile per decorrenza dei termini ...(di The Planer)