lunedì 14 dicembre 2009

AVVIAMENTO FRA IMPOSTA DI REGISTRO E REDDITO D'IMPRESA

Da un punto di vista letterale appare evidente che l’Ufficio non può utilizzare, ai fini della determinazione della plusvalenza d’impresa derivante della cessione di azienda, gli stessi criteri valevoli per l’imposta di registro. Sembra un caso di scuola: la determinazione dell’imponibile ai fini di quest’ultima imposta fa riferimento al valore venale mentre occorre basarsi sui corrispettivi contrattuali per le IIDD. In quest’ultimo comparto il valore venale diventa rilevante solo nella procedura d’accertamento, quale indizio che, corroborato da altri elementi, possa fondare un maggior valore. Insomma, da un lato il criterio opera come modalità legale di determinazione della basa imponibile, dall’altro, invece, serve nella successiva fase di accertamento. Detto così, mi pare, non si fa molta fatica a tenere distinti gli aspetti ed a capire in quali ristretti limiti vada utilizzato il criterio del valore normale. Perché, allora, la Cassazione sta assumendo un atteggiamento diverso? Penso che una risposta, almeno parziale, si potrebbe avere ponendo bene in risalto la specificità dei casi sottoposti alla sua decisione. Infatti, potrebbe esser che in quella data situazione emergano particolarità tali da rendere evidente la ragionevolezza del ricorso a questo criterio forfetario. Quello che non dovrebbe mai mancare, invece, è una congrua motivazione che non potrà, certo, mai essere del tipo: “siccome ai fini dell’imposta di registro si è stabilito questo, allora, la stessa cifra, per forza, deve valere anche ai fini della determinazione del reddito d’impresa”. Ciò che difetta, oggi, in modo grave, in un contesto di fiscalità di massa, ove è importante “fare cassa” il più presto possibile, è il frettoloso recepimento acritico, da parte degli Uffici, di massime stringate, rinvenibili dalla giurisprudenza di legittimità, senza la necessaria ponderazione sul caso specifico oggetto di controllo. Ma anche un’altro ragionamento si può fare: sembra venire in rilievo la necessità di procedere ad una determinazione di tipo presuntivo nei confronti dei piccoli autonomi, anche nella fase di realizzazione di avvenimenti c.d. straordinari della loro vita imprenditoriale. Infatti, i criteri scientifici, proposti con autorevolezza dal Guatri, ad esempio, sono più adatti per le grandi realtà aziendali che non per le piccole. Per un bar, un negozio, un laboratorio artigiano, spesso, si seguono, nella prassi professionale, criteri forfetari che molto si assomigliano a quelli utilizzati ai fini della richiamata imposta di registro: reddito medio degli ultimi tre esercizi, moltiplicato per tre, ad esempio. La necessità di ammettere la prova contraria, intesa in senso molto largo, deve, però essere un principio accolto e condiviso dall’Agenzia delle Entrate. Infatti, il funzionario dovrebbe possedere un’elevata sensibilità valutativa, che spesso non ha: ritornando all’esempio del bar, oggi le licenze si svendono a poche decine di migliaia di euro (è forse alle porte una liberalizzazione) ed il mercato non è più quello di qualche anno fa. Il giovane funzionario che deve trattare la pratica in modo serializzato e piatto sa questo? I capelli grigi, che hanno i capo team, almeno di secondo livello, dovrebbero condurre a prendere delle decisioni più ponderate. Ma questo, purtroppo, ultimamente, avviene sempre meno frequentemente, a causa dei più volte richiamati condizionamenti di budget cui l’Agenzia, in modo sempre più pressante è, negli ultimi tempi sottoposta.

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