giovedì 11 dicembre 2008

L’esenzione (rectius esclusione) IRAP dei minimi.

La risposta del sottosegretario all'Economia, Alfiero Grandi, alla recente
interrogazione presentata alla Commissione Finanze della Camera dall'On.
Maurizio Leo, pone in evidenza alcune contraddizioni di fondo caratterizzanti
l'attuale disciplina in tema di applicazione dell'Irap agli imprenditori c.d. minimi.
Innanzitutto occorre notare l'improprietà dell'uso del termine giuridico/tributario
"esenzione": con tale accezione la dottrina unanime intende la non
assoggettabilità ad imposta di fattispecie che, secondo la disciplina generale
dell'istituto, realizzano in se tutti i requisiti previsti dalla norma ai fini
dell'applicazione del tributo (requisiti sia oggettivi che soggettivi).
Un'esenzione si può, quindi, giustificare dal un punto di vista costituzionale
solamente se il fine agevolativo perseguito assuma in se un valore costituzionale o
paracostituzionale tale da consentire una deroga ai valori sanciti agli artt. 53 e 2
della nostra Carta fondamentale, di concorso solidale, mediante l'imposta, alla
spesa pubblica. Orbene, se questo è vero ecco che allora un'esenzione da imposta
non può di certo essere fondata sul fine di perseguire la semplificazione degli
adempimenti (fine pregevole ma non di rango costituzionale).
A parere di chi scrive, allora, la formulazione "atecnica" di cui alla Legge
244/2007, art. 1, comma 104 "I contribuenti minimi sono esenti...", oltre che ad
essere deplorevole sotto il profilo della tecnica normativa, nasconde una ratio
diversa: essa assume, per così dire, valore interpretativo in quanto altro non
statuisce che i soggetti, siano essi professionisti od imprenditori, non sono
soggetti all'Irap in quanto, essendo carenti del requisito dell'organizzazione
(contribuenti individuali, senza dipendenti, con modesti volume d'affari e beni
strumentali) non realizzano il presupposto impositivo voluto dall'imposta
regionale.
Nonostante l'art. 1, comma 2 della Legge 212/00 (statuto dei diritti del
contribuente) evidenzi come una norma interpretativa debba essere in tal
modo qualificata espressamente, in considerazione del fatto che in tal parte lo
statuto non esprime principi generali a c.d. copertura costituzionale, altra e
successiva norma di legge, di pari rango, di fatto, ex preleggi c.c., come nel caso
di specie, ben può assumere efficacia interpretativa implicita. Se così è, allora,
conseguenza logica vuole che anche coloro che optano in modo concludente per il
regime normale di determinazione del reddito e delle altre imposte, non
assoggettandosi alla nuova disciplina dei minimi possano fondatamente ritenersi
esclusi dall'applicazione dell'Irap.
A tale conclusione porta anche la seguente considerazione: pur se si volesse
impropriamente considerare quale esenzione la norma citata della finanziaria
2008 essa, a parare di chi scrive, potrebbe subire critiche sotto il profilo
costituzionale, sia per l'incoerenza ed irragionevolezza, per quanto evidenziato
appresso ma, ancor più, nella parte di essa in cui non si prevede "l'esclusione" da
irap anche da parte di chi non applica il regime dei minimi pur avendone i
requisiti, violando, sotto tale profilo, il principio di uguaglianza di cui all'art. 3
Cost.
Infine, pare opportuno mettere in evidenza altro aspetto degno di nota: le
sentenze di inizio 2007 della Corte di Cassazione, come risaputo, recano
l'affermazione che l'imprenditore, a differenza del professionista, è da intendersi
sempre organizzato (e come tale sempre assoggettabile al tributo regionale)
rientrando, appunto, tale aspetto fra i requisiti di cui all'art. 2082 c.c. A parte
l'evidente valore di obiter dictum di tale passaggio occorre, però, ugualmente
precisarne funditus la sua portata in ambito tributario. Una tematica cara alla
dottrina tributaristica è quella che riguarda il significato che concetti elaborati da
altre branche del diritto, in ispecie in ambito civile, possano assumere in campo
tributario. Si è concordi nel ritenere che la specificità della materia fiscale porti a
connotare diversamente aspetti altrove normati od elaborati. E' il caso appunto
del concetto d'imprenditore "fiscale": l'art. 55 del D.P.R. 917/86, al comma 1,
precisa che sono da assoggettarsi alla disciplina del reddito d'impresa anche
quelle attività che pur non essendo organizzate in forma d'impresa (secondo il
codice civile) rientrano nell'ambito d'applicazione di cui all'art. 2195 c.c. (impresa
commerciale). Orbene la conclusione che si può trarre, allora, è la seguente: sotto
il profilo civilistico se un'attività, pur astrattamente rientrante sotto l'egida
dell'articolo da ultimo citato, non presenti il requisito dell'organizzazione, mai
potrebbe essere considerata impresa ai sensi dell'art. 2082; non così, invece, ai
fini fiscali, secondo quanto statutito dall'art. 55 TUIR, per il quale, come visto,
possono ben esistere imprenditori non organizzati. Tale norma, assumendo
carattere di portata generale non può non ricoprire, perciò, un preciso siginificato
anche in ambito Irap.
(di Mauro)

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