venerdì 5 dicembre 2008

ISTANZA DI RIMBORSO E DICHIARAZIONE INTEGRATIVA

Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Recupero imposte versate in eccesso – Presentazione dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8- bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 dopo il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo – Inammissibilità – Istanza di rimborso ex art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – Ammissibilità – Istanza di interpello ex art. 11 della L. 27 luglio 2000, n. 212
(Agenzia delle Entrate – Direzione centrale Normativa e Contenzioso)
L’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto alla scrivente di chiarire la posizione interpretativa espressa con la risoluzione del 14 febbraio 2007, n. 24/E, in merito all’emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8­bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, ovvero con la presentazione di un’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Con la predetta risoluzione l’Agenzia delle entrate ha riaffermato il principio, già enunciato con la circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E, secondo cui decorso il termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera e), del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, ossia il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo a quello per il quale è stato commesso l’errore, non è più possibile presentare dichiarazioni integrative con esito favorevole per il contribuente. Nel medesimo documento di prassi, inoltre, l’Amministrazione ha rilevato che il principio di emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente, mediante presentazione di istanza di rimborso nei termini previsti dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, è riferito alla disciplina vigente prima delle modifiche apportate al D.P.R. n. 322 del 1998 dal citato D.P.R. n. 435 del 2001. Al riguardo l’Avvocatura rileva che dall’esame della successione delle norme nel tempo risulterebbe la volontà del legislatore di ampliare il termine previsto a favore del contribuente per chiedere il rimborso delle imposte pagate in eccedenza; diversamente l’orientamento espresso dall’Amministrazione finanziaria avrebbe l’effetto di ridurre eccessivamente tale termine facendolo coincidere con quello per la presentazione della dichiarazione integrativa con esiti allo stesso favorevoli. Infatti, il termine previsto per il rimborso dei versamenti effettuati in eccedenza è passato da diciotto a quarantotto mesi, a seguito delle modifiche apportate all’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 ad opera dell’art. 34, comma 6, della L. 23 dicembre 2000, n. 388. Tale ampliamento sarebbe dipeso dalla volontà del legislatore di riavvicinare i termini di decadenza per l’accertamento da parte degli uffici dell’Amministrazione finanziaria a quelli applicabili al contribuente per richiedere il rimborso, in modo da evitare differenze sostanziali che facevano dubitare della costituzionalità del sistema, a causa dell’eccessivo squilibrio tra le posizioni delle parti del rapporto tributario. La riduzione ad un anno del termine per presentare la dichiarazione con esiti favorevoli al contribuente e la conseguente impossibilità di ripetere le somme versate in eccesso tramite una richiesta di rimborso ai sensi del citato art. 38, potrebbe far nuovamente dubitare della costituzionalità del sistema per irragionevolezza della diversità dei termini. In breve, l’Avvocatura dubita che l’introduzione di un termine di decadenza ristretto risponda alle enunciate finalità di razionalizzazione e semplificazione. Per ovviare alle esposte perplessità interpretative ed evitare la possibile proliferazione dei giudizi l’Avvocatura ha chiesto alla scrivente di approfondire la questione. In proposito si osserva che l’orientamento giurisprudenziale da cui muove la citata risoluzione n. 24/E del 2007, secondo cui il principio di emendabilità della dichiarazione senza limiti di tempo, affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 6 dicembre 2002, n. 17394 e ribadito con la successiva sentenza della Sezione tributaria del 26 settembre 2003, n. 4238, va riferito alla disciplina vigente prima della modifica apportata dal ricordato art. 2, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 435 del 2001, non è stato smentito da successive pronunce della Suprema Corte ed anzi ha trovato implicita conferma nella recente sentenza della Sezione V, del 18 ottobre 2007, n. 21944, nella parte in cui la Corte asserisce che le dichiarazioni fiscali: “… sono assoggettate a vincoli di forma e di tempo che inducono ad affermare la loro irretrattabilità. Esse, pertanto, al di fuori delle ipotesi di errori materiali o di calcolo – le quali non richiedono un’espressa rettifica, in quanto desumibili ab intrinseco dalla stessa dichiarazione – possono essere emendate e, in buona sostanza, ‘sostituite’ soltanto entro i termini previsti per una valida dichiarazione”. La stessa Corte ha, peraltro, recentemente ribadito che: “il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata, ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della dichiarazione stessa, dovendosi riconoscere al contribuente – in un sistema improntato ormai, per effetto dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento, ed avuto riguardo al concetto di capacità contributiva, che costituisce uno dei principi fondamentali della Costituzione in materia tributaria – la possibilità di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede al momento della dichiarazione, attraverso la procedura disciplinata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973” (così, da ultimo, Cass., Sez. V, sent. 8 giugno 2007, n. 13484, ed in senso conforme già Sez. V, sentenza 10 settembre 2001, n. 11545 e, SS.UU., sent. 25 ottobre 2002, n. 15063). Dovendo coniugare i due citati filoni interpretativi si giunge alla conclusione che al contribuente non è consentito presentare una dichiarazione correttiva con esito a sé favorevole oltre il termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, ma lo stesso può, invece, recuperare l’eventuale imposta versata in eccesso, attraverso un’istanza di rimborso presentata ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973. Il che non è senza conseguenze dal punto di vista procedurale e sostanziale, poiché, stando alla previsione dell’art. 41, comma 2, del D.P.R. n. 602 del 1973, per i crediti derivanti dall’attività di liquidazione delle dichiarazioni il rimborso deve essere effettuato d’ufficio, mentre il rimborso di cui al precedente articolo 38 del citato D.P.R. n. 602, presuppone un’apposita istanza, da presentare entro un preciso termine previsto a pena di decadenza, e richiede che sia il contribuente a dar prova delle circostanze che legittimano la ripetizione di quanto versato in eccesso (in tal senso si è espressa la Cassazione, Sez. V, sentenza 20 dicembre 2002, n. 18163). Occorre, infine, individuare il momento da cui decorre il termine decadenziale fissato dal più volte richiamato art. 38; anche sotto tale aspetto soccorre l’orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui: “il principio affermato in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 8199 del 17 aprile/29 agosto 1997 e n. 8606 del 23 maggio 1996) secondo cui è dal momento del pagamento del saldo d’imposta che inizia a decorrere il termine di rimborso di tributi non dovuti si riferisce, come esplicitamente chiarito, ai casi di eccedenze di versamenti in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà, cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva. L’acconto d’imposta in tali casi deve ritenersi versato in forza di un titolo ancora precario e provvisorio, sicché solo dalla chiusura del periodo d’imposta il contribuente può avere conoscenza dell’importo esatto da versare. Allorché, invece, l’obbligazione tributaria sia inesistente sin dal momento del versamento, avvenuto per errore materiale, duplicazione d’imposta o originaria inesistenza totale o parziale della pretesa impositiva, è dalla data del versamento stesso, anche se avvenuto a titolo di acconto, che inizia a decorrere il termine entro cui va proposta l’istanza di rimborso, come espressamente disposto dall’art. 38, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973” (Così Cass., Sez. V, 7 luglio 2000, n. 9156, ed in senso conforme sentenze: 10 gennaio 2004, n. 198, 20 settembre 2005, n. 18522, 15 settembre 2006, n. 20057e da ultimo 20 dicembre 2007, n. 26863). Pertanto, al fine di individuare il dies a quo da cui inizia a decorrere il termine previsto a pena di decadenza per presentare istanza di rimborso occorre stabilire se l’obbligazione tributaria esisteva o meno al momento del pagamento. Nel caso in cui il pagamento è stato effettuato in totale assenza del presupposto, il termine inizia a decorrere dalla data del pagamento stesso, mentre, nel caso in cui la richiesta di restituzione riguardi eccedenze di versamenti in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà, cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva, il termine decorre dal momento del versamento del saldo. In conclusione, ad integrazione dei chiarimenti già forniti, laddove non sia possibile (cfr. risoluzione 30 gennaio 2008, n. 25/E) ovvero non sia più possibile per decorrenza dei termini ...(di The Planer)

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