lunedì 25 gennaio 2010

INTERESSI PASSIVI: L'ENNESIMA RIFORMA?

In tema di limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi si evidenzia molto bene come, la stratificazione normativa, dovuta al susseguirsi di scelte fiscali, fra loro incongruenti, oltre che la contemporanea presenza di diverse mission, affidate, talvolta, alla norma fiscale, possano, progressivamente, far allontanare un provvedimento normativo dalla sua coerenza iniziale. La legislazione degli ultimi anni relativa alla disciplina degli interessi passivi nel reddito d’impresa ne è un chiaro esempio. Occorre, forse, partire, dall’organica e coerente disciplina della DIT, (che interveniva, in primis, in modo, fra l’altro, tecnicamente corretto, sul fronte indebitamento, per giungere solo indirettamente a condizionare, eventualmente, l’ammontare degli interessi dedotti a bilancio), per passare, poi, alla farraginosa e quanto mai complessa “thin cap”, giungendo, infine, alla pessima disciplina ROL. Questi ultimi due provvedimenti, mi pare di poter dire, hanno risentito negativamente, a differenza della dual incom tax, delle diverse finalità loro proprie: antielusive, di contrasto all’erosione della base imponibile e di politica economica. E’ vero, lo strumento tributario può essere utilizzato anche per obbiettivi extrafiscali, quali il rafforzare la patrimonializza zione delle imprese ma questo non dovrebbe mai portare a distorcere la primaria e fondamentale finalità della norma tributaria che è quella di determinare correttamente la capacità economica dei contribuenti. Infatti, la disciplina della deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa mette in chiaro risalto l’importanza delle determinazioni quantitative, analitico – aziendali, seppure adattate alle logiche tributarie. Sappiamo tutti, essendo questo un “concetto sociale”, d’uso comune, che il “costo” dei finanziamenti è espresso dall’interesse il quale, se relativo ad investimenti inerenti l’attività d’impresa, assume la fondamentale caratteristica della deducibilità fiscale. Già questo, forse, potrebbe bastare, ma la determinazione analitico aziendale, si connota poi, come insegni tu, Raffaello, di quelle specificità proprie delle logiche simmetrico tributarie. Ne sono un esempio, proprio in tema di interessi passivi, la loro indeducibilità integrale, se specificamente inerenti a componenti positivi di reddito “non tassabili”, oppure, di converso, la non deducibilità per la parte proporzionale a “ricavi” esenti od esclusi dal reddito fiscale. Lo stesso dicasi per l’afferenza a componenti dell’attivo di bilancio i cui “frutti” vengono esclusi dalla base imponibile. Questi criteri trovano, come detto, giustificazione nelle logiche di coerenza fiscale. La “disciplina ROL”, invece, pare discostarsene ed è difficile, veramente, ricercare una sua giustificazione sistematica, se non individuare, invece, solo un maldestro tentativo di contrasto all’erosione fiscale ed un indiretto sprone al ricorrer meno all’indebitamento da parte delle imprese, alterando, però significativame nte la corretta determinazione della capacità economica. Una semplice osservazione: la “competenza” fiscale degli interessi è in funzione del tempo della loro maturazione, imporne, quindi, una deduzione rinviata agli esercizi successivi solo perché il loro ammontare supera la “franchigia” del 30% del risultato operativo lordo, introduce una forte asimmetria od incoerenza fra norme diverse che disciplinano la competenza dei componenti positivi e negativi del reddito d’impresa. Ben diversa ed ampiamente giustificabile, da un punto di vista di logiche fiscali, è ad esempio la disciplina avente ad oggetto il rinvio ad esercizi successivi della deduzione di spese di manutenzione. Ritornando, allora, ai principi che possiamo rinvenire dalle determinazioni analitico aziendali, sembrerebbe più opportuno, nell’analisi dei fenomeni finanziari, guardare non solo ai componenti del conto economico, ma anche a quelli dello stato patrimoniale, analizzato, quest’ultimo, nella sua configurazione, appunto, finanziaria che contrappone le FONTI (passivo) ai correlativi IMPIEGHI (attivo). Individuandosi correlazioni generiche o specifiche dei finanziamenti ai relativi investimenti, così come l’inerenza di questi ultimi all’attività d’impresa. Un semplice esempio, che rende l’idea, nell’ambito, principalmente, delle società di persone ed imprese individuali, (ma non solo), può esser quello della presenza di finanziamenti a fronte di un attivo circolante composto anche da crediti verso soci per prelievi effettuati durante l’esercizio ben maggiori all’ammontare del patrimonio netto disponibile. In tal caso il finanziamento, specie se generico, concorre, sicuramente anche ad impieghi estranei all’esercizio dell’impresa. Ben più coerente, come accennato, sotto questo profilo, era la disciplina DIT: non distorceva la determinazione della capacità economica, che avveniva a monte, cioè prima della sua applicazione. Inoltre, essa, concretizzava la sua funzione extrafiscale di strumento agevolativo, mettendo ben in evidenza la dimensione finanziaria del patrimonio (in senso lato) d’impresa, premiando, appunto con tassazione duale di favore, la parte di reddito figurativo, estrapolabile da quello globale, imputabile, da un punto di vista logico, al “capitale proprio” quale componente, a sua volta, che concorre a formare la massa complessiva delle fonti. Allora, si può anche concludere, che solo in quest’ottica potrebbe essere di qualche utilità, forse, lo spunto, offerto dagli studiosi di scienza delle finanze, volto ad una discriminazione fra capitale proprio e capitale di terzi. Senza non dimenticare, poi, che l’analisi delle concrete esperienze delle diverse disposizioni sopra esaminate, DIT e Thin Cap, in particolare, porta ad evidenziare un “fallimento” del loro intento extra fiscale (nonostante la pregevolezza tecnica della prima), tanto per cui, l’attuale provvedimento in vigore (ROL), data la sua criticabilità sul versante dell’influsso negativo nella determinazione della capacità economica, non potrà di certo basare le proprie fortune su sperati, quanto, come visto, irraggiungibili, risultati dal lato delle politiche economiche miranti al rafforzamento della capitalizzazione delle imprese.

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