venerdì 8 gennaio 2010

IMPOSTE SUI CONSUMI E RIFORMA FISCALE

Ciclicamente ritorna all’attenzione dell’opinione pubblica l’importante argomento riguardante la “riforma fiscale”. Gli aspetti che, di volta in volta, vengono in rilievo sono i più diversi: si va dal federalismo fiscale, alla diminuzione della pressione fiscale, ecc.
In particolare, qualche considerazione si può fare in merito all’ipotesi riguardante l’aumento delle imposte sui consumi, quale efficace antidoto contro l’evasione fiscale.
Sotto il profilo economico, senza dubbio le imposte sui consumi sono inique: incidono, a parità di importo maggiormente su chi ha redditi minori.
Il concetto è prima di tutto sociale e conseguentemente economico.
Sappiamo che gli economisti pongono in risalto il criterio “dell'efficienza”, da intendersi, secondo la loro metodologia, nel senso che il sistema “alloca” o “richiede” risorse senza rispettare la c.d. utilità marginale che la ricchezza ha per ciascun soggetto economico.
Come detto è evidente che ciò che l'economia formalizza ha una previo substrato sociale, capibile in modo intuitivo. Sotto questo profilo, quindi, anche l'economia è scienza sociale, pur usando
strumenti d'indagine formali. I professori più prudenti mettono sempre ben in luce
quest'aspetto, di modo che gli studenti si rendono subito conto di non avere a che fare con una scienza esatta.
Riferendomi alle imposte sui consumi non le ho definite imposte indirette in quanto esse colpiscono direttamente un'altra forma in cui si manifesta il reddito, cioè il suo consumo.
La scienza delle finanze, ma l’argomento potrebbe esser ben approfondito anche in un testo di diritto tributario, spiega che la pluralità di tributi serve in quanto così facendo il sistema intercetta ricchezza che potrebbe esser altrimenti sfuggita ad una prima tassazione del reddito prodotto od entrata che sia.
E' indubbio che così procedendo si ha una doppia imposizione giuridica (se chi consuma è lo stesso soggetto che ha prodotto il reddito), oppure economica, (se la stessa ricchezza viene spesa da altri i quali magari l'hanno ereditata). Questo fa parte della fisiologia del sistema tributario. Altrimenti il
super legislatore dovrebbe esser talmente in gamba di poter creare una mono-macro-imposta, che a fronte di un unico prelievo possa esaurire in sé le necessità fiscali sottostanti.
Siccome invece le imperfezioni fanno parte della natura delle cose, allora occorre arrangiarsi come meglio si può, fino ad ipotizzare pessimi scenari, quale appunto, una fiscalità basata sull'incremento
delle imposte dei consumi.
Non dimentichiamoci, però che il nostro art. 53 della Costituzione, impone, almeno da un punto di vista formale, che il sistema fiscale sia, nel suo complesso, progressivo. Ed anche se il 53 venisse
modificato, sempre esisterebbero gli art. 2 e 3 della medesima carta, questi sì veramente granitici, essendo principi fondanti e non modificabili, pena una “rottura” che, mi pare, non potrà mai avere quel reale consenso necessario proveniente dalla base sociale. Penso che anche in questo caso abbia alla fine ragione il Prof. Lupi: siamo alla presenza dei soliti effetti annuncio tipici di questa società, in tanti settori, a cui, quindi, nemmeno il fisco mediatico si può sottrarre. Per rendersene definitivamente conto basta infatti riflettere su queste due ultime considerazioni: da un punto di vista di politica economia non ha senso gravare i consumi soprattutto nei momenti di crisi; mentre sul versante di politica fiscale, invece, incrementare le imposte sui consumi potrebbe essere inconcludente se il sistema non poggia prevalentemente, sui “grandi distributori organizzati”, la cui rigidità amministrativa, come sempre fa notare Raffaello, impedisce loro di occultare materia imponibile al fisco.

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