venerdì 29 gennaio 2010

CRITERI DI VALUTAZIONE DEI RAPPORTI CON CONSOCIATE ESTERE

Concordo perfettamente con la valenza degli interpelli in generale,
mentre ritengo sia un po’ più complessa il discorso sulla effettiva
attività commerciale svolta.
Quello che sarebbe auspicabile elaborare sono pochi criteri ,
condivisi, da applicare nei rapporti con l’estero che conducano a
tassare “il giusto” indipendentemente da dove è localizzata la
controparte , il problema è la corretta individuazione dei redditi da
tassare in Italia indipendentemente se l’altro paese è una nazione
europea piuttosto che un incluso nelle Black List (anche se in questi
casi la propensione a spostare il reddito è più alta e magari potrebbe
essere necessario qualche accorgimento), non sono poche le nazioni con
tassazioni sensibilmente più basse non incluse nella black list .
Per le società che controllano o comunque partecipano in maniera
significative in società estere, la ripartizione della capacità
contributiva tra l’Italia e il paese estero deve avvenire tramite il
criterio della remunerazione dei fattori di produzione impiegati nelle
attività .
Per le attività produttive e commerciali (differente è il discorso
dei “passive income”)questa ripartizione dovrebbe avvenire mediante
la formazione dei prezzi di trasferimento che hanno il compito di
garantire la remunerazione dei fattori di produzione impiegati da
ciascuno dei due contraenti (i costi sostenuti) più il margine di
profitto (mark-up) che dovrà essere proporzionale al valore aggiunto
derivante dalle attività svolte dalle società.
Mi spiego meglio, se la controllata residente nel paradiso fiscale si
limita a commercializzare la merce prodotto in italia non è
difficile dimostrare che si dispone realmente di una struttura minima
nel paradiso fiscale (un locale in affitto in un business center , un
contabile e due operatori al call center commerciale , magari part-
time ) sufficienti ad ottenere un interpello favorevole, per poi
applicare magari prezzi di trasferimento dall’Italia artificiosamente
bassi, tendenti al costo di produzione, in modo che tutti i margini
restano in capo a quest’ultima società, che in realtà quasi nulla
produce nella catena del valore, con buona pace degli interpelli (il
suo contributo alla economicità del business e consisterà nel
risparmio ottenuto sul costo del lavoro rispetto all’italia, al
risparmio di costi delle trasferte se tali clienti fossero stati
gestiti direttamente dall’Italia , dalla maggior facilità di trovare
personale commerciale che parli cinese piuttosto che giapponese etc.).
L’interpello va bene in via facoltativa ma deve includere anche una
valutazione del transfer price , per tutti gli altri si fanno
verifiche sulla determinazione del transfer price sulla base di
documentazione che diventerebbe obbligatoria tramite le risorse
dell’AF liberate dall’eliminazione degli attuali interpelli
obbligatori .
Un discorso ulteriore sono i passive incombe che forse tasserei sempre
per trasparenza , queste società sono caratterizzate dall’assenza di
una attività gestionale vera e propria ma dal godimento degli assets
ed il principale fattore da remunerare è il capitale impiegato per
l’investimento. Spesso tali società più che un contenitore di attività
economiche mi sembrano uno strumento per enucleare giuridicamente tali
beni dalla compagnie societaria ; non hanno una autonoma
organizzazione ed una vita propria distinta da quella dei soci , non
vedo valore aggiunto prodotto dal contenuto dell’involucro
societario . Non è riscontrabile un valore dell’ attività economica
svolta maggiore del valore dei suoi singoli componenti (marchio,
attività finanziarie, immobili) singolarmente considerati. Queste
caratteristiche non giustificano una vita propria economica,
distinta da quella dei soci , il che mi porta a pensare che la
capacità contributiva generata appartiene ai soci è ciò potrebbe
essere sufficiente per disporre una sorta di tassazione per
trasparenza (come le società di persone) .

stefano palestini

Nessun commento: