mercoledì 15 luglio 2009

SCUDO FISCALE: il miele (ipocrita) di un dolce rientro

Il tema dello scudo fiscale assomma in se vari aspetti: di diritto tributario e di finanza pubblica, in particolare. Ho letto che i capitali all'estero sarebbero stimati in circa 550 miliardi di euro. Il debito pubblico è circa al 118% del PIL, ritornando, così, ai livelli degli anni '93-94. Da allora decrebbe, grazie alle manovre che tutti conosciamo, per poi tornare a ricrescere, in modo preoccupante, dal 2003 in poi. E' chiaro che le ragioni sono molteplici: l'abbandono degli aggiustamenti strutturali, la crisi economica, ecc. Quest'ultima, con il crollo del PIL, (-5,9%) rende tutto ben più problematico: il debito aumenterà di forza propria (interessi) ed essendo di molto al di sopra della parità, tenderà, di per sè, a "scappare" rispetto ad un possibile drenaggio di liquidità privata da imposizione fiscale che, a parte l'evasione, visti, appunto, i dati macroeconomici, si appresta a palesare, soprattutto prossimamente (5/8), forse, un sensibile calo rispetto all'anno precedente. La stagnazione di lungo periodo che ci spetta (Kondratieff) può portare anche ad immaginare scenari non semplici (per usare un eufemismo) da risolvere. In altri tempi non sarebbe stato peregrino pensare a manovre di finanza straordinaria. Ecco che allora il rientro dei capitali può esser un poco utile al caso. L'esperimento precedente (2002) è andato oltre le più ottimistiche aspettative (con particolare irritazione dei vicini di casa elvetici): danaro fresco rimesso nel circuito economico nazionale, con possibili effetti leva sull'economia, con investimenti in titoli, soprattutto pubblici, col ritorno finanziario di 5/10 milioni di euro, dalla sostitutiva, per l'erario, può giustificare il sacrificio del principio dell'equità tributaria. Ancora una volta il diritto tributario (cioè la norma positiva, non quella teorica immanente che si sta cercando) si dimostra estremamente sensibile a queste determinanti macroeconomice. Al contempo occorre chiedersi come si sia costituita tale somma (550 miliardi - fra l'altro al netto del precedente rientro). I soldi all'estero non li hanno certo portati i fornai, i meccanici o le parucchiere ma i finanzieri, banchieri e grandi imprenditori (tralasciamo dall'analisi la malavita organizzata) i quali, magari, non hanno fatto rientrare profitti realizzati con delocalizzate operative (o non operative) estere, oppure hanno realizzato arbitraggi con transfer price ed anche guadagnato capital gain con strutture opache. Territorio idoneo per l'alta consulenza fiscale che certo avrebbe buon gioco in una partita contenziosa, come qualche post addietro il Prof. Lupi aveva fatto notare. Chissà, forse il tutoraggio, alla luce di questi numeri, che fanno di certo impallidire i piccoli commercianti ed artigiani, può avere un senso. Ed allora più che il bastone dell’equità fiscale (in questo caso inconcludente) meglio il miele (ipocrita) di un dolce rientro.

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