martedì 17 febbraio 2009

SSUU CASS. SENT. 2870/09 E DINIEGO DI AUTOTUTELA

Che la precedente sentenza delle sezioni unite sollevasse qualche
dubbio già lo si era espresso mi pare nel forum vecchio di dialoghi
tributari:
riporto estratto


Con la conseguenza che il sindacato del giudice dovrà riguardare,non
solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria (ove l’atto di esercizio
del potere di autotutela contenga una tale verifica), ma prima di
tutto il corretto esercizio del potere discrezionale dell’
amministrazione, nei limiti e nei modi in cui l’esercizio di tale
potere può essere suscettibile di controllo giurisdizionale,che non
può mai comportare la sostituzione del giudice all’amministrazione in
valutazioni discrezionali, né per i limiti posti dall’articolo 4 della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E l’adozione dell’atto di
autotutela da parte del giudice tributario.


L’invasione, da parte del giudice, della sfera discrezionale propria
dell’esercizio dell’autotutela comporterebbe, infatti, un superamento
dei limiti esterni della giurisdizione attribuita alle commissioni
tributarie. Sui limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti di
autotutela, il cui superamento comporta un’invasione in una sfera
estranea a quella della giurisdizione tributaria, le Su ritengono
utile il riferimento ai principi affermati dalla giurisprudenza
amministrativa (ex plurimis, CdS, sentenze n. 6758 e 7287 del 2004),
in quanto, in base alla disciplina contenuta nell’articolo 2 quater
del Dl 564/94, convertito con modificazioni nella legge 656/94, e nel
regolamento di esecuzione, approvato con Dm 37/1997, i poteri di
annullamento d’ufficio e di revoca dell’Amministrazione finanziaria
possono essere esercitati soltanto nel perseguimento di interessi
pubblici. L’articolo 3 del regolamento stabilisce che, nell’esercizio
di tali poteri, deve essere data priorità «alle fattispecie di
rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le
quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso».


2.2. E’ quindi evidente che l’esercizio del potere in questione, che
non richiede alcuna istanza di parte (articolo 2 del regolamento) non
costituisce un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei
rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti, anche se lo
stesso finisce con l’incidere sul rapporto tributario e, quindi, sulla
posizione giuridica del contribuente.


Dai principi sopra enunciati consegue, inoltre, che nel giudizio
instaurato contro il mero, ed esplicito, rifiuto di esercizio
dell’autotutela può esercitarsi un sindacato nelle forme ammesse sugli
atti discrezionali soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla
fondatezza della pretesa tributaria, sindacato che costituirebbe
un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa. Ove
l’atto di rifiuto dell’ annullamento d’ufficio contenga una conferma
della fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia
esclusa dal giudice, l’Amministrazione finanziaria dovrà adeguarsi a
tale pronuncia. In difetto potrà essere esperito il rimedio del
ricorso in ottemperanza di cui all’articolo 70 del D.Lgs 546/92, con
l’avvertenza che tale norma, a differenza di quanto previsto per
l’analogo rimedio dinanzi al giudice amministrativo ex articolo 27, n.
4, del Tu sul CdS (Rd 1054/24), non attribuisce alle commissioni
tributarie una giurisdizione estesa al merito.


Il carattere discrezionale del ricorso all’autotutela comporta,
altresì, l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio - rifiuto, non
esistendo, all’epoca dell’atto impugnato, alcuna previsione normativa
specifica in materia.


______


Da qui si era tratto lo spunto per dire: se l'Amministrazione non si
pronuncia o lo fa senza rientrare nel merito ma semplicemente
confermando, lede il contribuente e questi non potrà più far nulla; al
contrario, laddove si pronunci, magari malamente ma rientrando nel
merito, quindi collaborando con il contribuente ottiene per contro
l'impugnabilità dell'atto....


Su questo ci si era lasciati.....


Ora non mi pare che la sentenza in oggetto aggiunga qualcosa di
nuovo....


Giustamente evidenzia l'uso strumentale che potrebbe derivare
dall'interpretazione ed applicazione dell'istituto come mezzo per
rimettere in gioco un fatto già definito a causa della mancata
contestazione in sede amministrativa o giudiziale del presupposto
della maggior imposta.


Mi pare, cogliendo la matrice amministrativa, che l'interesse alla
rimozione deve essere bilanciato dall'interesse alla stabilità e
certezza del rapporto. Quindi i casi in cui, per infortunio del
contribuente, il fatto supposto sia poi del tutto inesistente o
difforme perchè venga riscontrato da un'autorità giurisdizionale non
tributaria siano del tutto esegui....ci si potrebbe sì porre
nell'ottica dell'esperibilità di altri rimedi.....o nella necessità di
revisione dell'istituto per queste ipotesi
(di The Planer)

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