martedì 17 febbraio 2009

Motivazione avviso accertamento e teoria generale

Recentemente mi è capitato di riflettere sulla struttura dell’atto
fiscale di accertamento e rettifica, tenuto conto della peculiarità
che lo stesso possiede nella riscossione odierna dei tributi erariali,
normalmente effettuata mediante l’adempimento spontaneo.
Se da un lato tale condizione rende meno importante l’attività degli
uffici tributari nella determinazione della capacità economica dei
fatti, degli atti, che consentono il realizzarsi dei presupposti di
tassazione disciplinati dalle singole leggi d’imposta, manca tuttavia
un’analisi dei concetti che informano o dovrebbero informare
l’attività di controllo degli Uffici finanziari sia nei confronti dei
soggetti che hanno adempiuto spontaneamente al pagamento del tributo
(occultando parzialmente la materia imponibile, errando nella
determinazione dell’imposta dovuta, etc…) sia nei confronti di coloro
che hanno omesso di dichiarare e versare spontaneamente (l’evasione
fiscale tout-court).
In questa breve analisi che, laddove dia origine a spunti di dialogo,
potrebbe essere sviluppata alla luce degli argomenti di seguito
esposti (in maniera anche sommaria, tenuto conto dello spazio), voglio
anticipare che non sarà oggetto di indagine la “motivazione dell’atto”
come normalmente viene inquadrata, ossia come strumento di semplice
cognizione dei presupposti di fatto e di diritto assunti dall’organo
tributario a fondamento della propria azione né tantomero i vizi
propri della stessa, poiché la manualistica e la dottrina tradizionali
si sono già soffermati su queste tematiche.
Tuttavia, proprio dalle modalità di approccio a questi aspetti della
motivazione dell’atto nell’ambito tributario, emerge una delle
problematiche più palesi: l’assenza di elaborazione dei concetti, per
lo più mutuati da altre aree del diritto (civile, societario,
amministrativo, etc…), inseriti nel sistema fiscale senza spesso
considerarne l’applicabilità in ragione dei meccanismi, delle regole
che lo caratterizzano.
Pertanto, nell’analizzare il problema della motivazione dell’atto
tributario, vorrei evidenziare gli elementi che la strutturano,
rimarcando grossomodo tre aspetti: a) la tipologia del soggetto
accertato b) la metodologia accertativa in funzione ed in ragione del
soggetto accertato c) la tipologia dell'eventuale violazione posta in
essere (non tratterò delle conseguenze sanzionatorie)
A questo punto, per esigenze di semplicità e brevità dell’esposizione,
indicherei quali elementi, peculiari dell’attività di controllo,
dovrebbero risultare dall’atto; all'uopo, avrei individuato la
seguente elencazione: a) presupposto dell’attività di controllo; b)
giudizio di fatto, esposizione delle modalità usate nella
determinazione della capacità contributiva c) giudizio di diritto,
ossia esposizione delle regole procedimenti applicate nell’analisi del
fatto e regole fiscali sostanziali violate d) attribuzione della
sanzione fiscale (su quest'ultimo elemento mi astengo dall'effettuare
valutazioni che sarebbero piuttosto de iure condendo che non de iure
condito).
Considerando l’atto scritto nella sua forma dematerializzata,
elettronica, potremmo definire questi elementi come le “macro“,
ciascuna implementabile e modificabile, che caratterizzano il file
nominato “motivazione dell’atto tributario”.
Di seguito pertanto vorrei, in questa sede, solamente esporre alcuni
concetti che potrebbero dar origine a riflessioni, nella forma
dialogica, su questi elementi che strutturano l’atto tributario
a) Presupposto dell’attività di controllo
L’indicazione nell’atto di accertamento dei presupposti che hanno
originato l’attività di controllo viene per lo più connessa ad una
semplice funzione di garanzia, cioè, in una prima fase per consentire
al contribuente di comprendere le ragioni per le quali l’Ufficio
procede ad analizzare la posizione fiscale dello stesso, per appurare
la correttezza dell’agire dell’istituzione nei confronti del
contribuente ed in una fase successiva per permettere ad un soggetto
terzo (normalmente chi esercita la funzione giurisdizionale) di
valutare la correttezza di tali presupposti.
Tale visione, strettamente “formalista”, dell’indicazione del
presupposto dell’attività di controllo, pur essenziale anche per
questo scopo, mi pare vada adeguata al ruolo che l’esposizione degli
inputs usati dall’Amministrazione finanziaria dovrebbe avere (ed avrà
sempre più in futuro) per comprendere alcune direttive essenziali
sulle quali strutturare la tassazione e la disciplina tributaria in
futuro.
Ciò deriva essenzialmente dal fatto che tale “macro” è quella che
normalmente meno viene analizzata dalla dottrina, considerata per
prima nella trattazione solo per necessità di completezza nella
trattazione della tematica della motivazione, ma senza un’adeguata
valorizzazione.
Pertanto, l’indicazione dell’attività del presupposto dell’attività di
controllo è, per converso, da un punto di vista sostanziale,
fondamentale e primaria per comprendere la tipologia del soggetto
passivo d’imposta controllato, le modalità del controllo, la tipologia
della violazione eventualmente commessa e le conseguenze che ne
derivano.
Prima di individuare però gli aspetti essenziali dell’indicazione del
presupposto del controllo, occorre però usare e per i più, presumo,
appropriarsi di categorie concettuali che non sono diffuse nella
quotidiana trattazione della materia fiscale, ma esistenti ad uno
stadio larvale e ancora poco diffuso in dottrina (mi riferisco a
categorie esposte da Raffaello Lupi in tempi più recenti e di cui
intendo fruire pienamente nella presente analisi).
Il primo concetto è quello della distinzione tra “eterodeterminati” ed
“autodeterminati”, cioè tra coloro oggetto di segnalazioni da parte di
altri soggetti e coloro che invece, non essendo fiscalmente segnalati,
non trovano riscontri ad eventuali forme di determinazione spontanea
della capacità economica oggetto di tassazione.
Nella prima ipotesi i fatti, gli atti, compiuti da questa categoria di
contribuenti, trovano delle manifestazioni, delle misurazioni,
compiute nel quotidiano da altri soggetti, che consentono
all’Amministrazione finanziaria, attraverso l’Anagrafe Tributaria, di
avere un controllo, più o meno dettagliato, del comportamento tenuto;
nella seconda ipotesi, l’assenza di riscontri o la scarsità di
informazioni acquisite non consente di valutare con semplicità e
tendenziale precisione le forme di capacità economica manifestate da
questa categoria dei soggetti.
A titolo esemplificativo, possiamo collocare nella prima categoria
coloro che operano subendo forme di prelievo intermedio
nell’adempimento spontaneo dell’obbligazione tributaria (coloro che
sono soggetti a ritenuta); nella seconda, chi opera senza subire forme
di prelievo intermedio, senza segnalatori della della capacità
economica, determinando pienamente in autonomia la propria capacità
economica.
Volendo poi ulteriormente sezionare quest’ultima categoria, quella
degli “autodeterminati“, potremmo distinguere coloro che operano nei
confronti di soggetti economici attivi nella produzione di beni/
servizi (operazioni tra soggetti muniti di partita iva) da coloro che
operano nei confronti di soggetti economici passivi, nel senso che si
limitano a fornire beni/servizi al consumatore.
Il secondo concetto-guida è rappresentato dalla “modalità di
determinazione della capacità contributiva”: all’interno di tale
categoria possiamo distinguere tra coloro che determinano il
realizzarsi dei presupposti del prelievo fiscale in modo “analitico”,
da coloro che, al contrario determinano la loro capacità contributiva
in modo “sintetico”.
Questa categoria concettuale, a differenza di quella prima indicata,
eterodeterminati/autoderminati, presenta una complessità notevole di
analisi e di collocamento dei contribuenti nello schema proposto: se
la chiave per essere considerato soggetto che esprime capacità
economica in modo “analitico” piuttosto che “sintetico” è fornita
dalla presenza o meno di strumenti di misurazione della capacità
stessa, come la misurazione contabile, per lo più gestiti direttamente
dallo stesso contribuente o da terzi per suo conto e nelle forme più
evolute anche ulteriormente controllati da terzi estranei, esiste
un‘area di mezzo o di contiguità ampia, quantitativamente, nella
scelta di collocamento del soggetto tra gli “analitici” piuttosto che
i “sintetici” (si pensi alla differenza tra il contadino che vende i
prodotti dei propri campi, al negozio di frutta e verdura la cui
contabilità è tenuta dal cugino ragioniere, alla società Alfa s.p.a.
che possiede 200 punti vendita, alla multinazionale che opera in più
Paesi nella distribuzione al consumo degli stessi prodotti).
Impostati questi due concetti, eterodeterminazione/autodeterminazione
ed analiticità/sinteticità, si può quindi comprendere l’importanza
dell’esposizione del presupposto del controllo caratterizzato
dall’indicazione degli elementi posti alla base dell’attività di
accertamento in funzione delle categorie concettuali poc’anzi
trattate.
Volendo esemplificare, l’omessa presentazione della dichiarazione
fiscale annuale, che nella disciplina sulle procedure di controllo ai
fini delle imposte sui redditi ed iva assurge ad elemento per
accertare mediante induzioni, cioè per elementi indiziari, la capacità
contributiva espressa da fatti od atti posti in essere dal soggetto
passivo, avrà un significato diverso allorchè il contribuente
determini l’imposta dovuta in modo analitico e si etero/auto determini
nella tassazione: un carrozziere persona fisica che ometta la ...
(di The Planer)

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