martedì 26 ottobre 2010

Stefano Palestini: La neutralità fiscale degli interessi nell'ambito del reddito d'impresa

Volevo intervenire nel dibattito sugli oneri finanziari apparso in Dialoghi nr. 5 con delle riflessioni basate sull'economia - finanziaria , in cui cerco di spiegare che per quanto gli interessi passivi siano un costo particolare a livello di capacità contributiva sono sostanzialmente neutri (elusioni / abusi sono chiaramente possibili e da gestire/disincentivare ) se il loro trattamento fiscale è ben coordinata tra società e il socio e con i dividendi. Inoltra la particolare struttura finanziaria del nostro paese rende difficilemmnte individuabili gli abusi, soprattutto se ci si limita a focalizzarsi sul livello del debito o degli oneri finanziari.
Se i ragionamenti stanno in piedi e sono interessanti si potrebbe estrapolare un piccolo articolo per continuare il dibattito iniziato su Dialoghi.

La teoria economico- finanziaria con Modigliani e Miller (M&M) dagli anni ’50 ha spiegato che il valore della società è, per il socio, perfettamente indifferente alla sua struttura finanziaria, cioè alla proporzione tra il debito ed il capitale proprio. Questo vale fino ad un certo livello di indebitamento, superato il quale emerge il rischio di uno squilibrio finanziario patologico.
L’asserzione veniva dimostrata spiegando che un socio (diciamo per semplicità persona fisica) poteva acquistare una società interamente finanziata con capitale proprio impiegando per il 50% i propria risparmi e per l’ulteriore parte prendendo denaro in prestito da una banca , in questa maniera si otteneva l’identico risultato che si avrebbe avuto con una società finanziata per metà da capitale proprio e metà tramite debito. Quindi se il socio può replicare in capo a se stesso la struttura finanziaria preferita , quella realmente esistente nella società diviene indifferente (chiaramente esistono dimostrazioni analitiche nei libri di finanza). Nella sostanza se produco meno utili perché debbo “servire” il debito è anche vero che il socio ha investito un importo inferiore a titolo di capitale proprio.
Ma , ed è qui che giunge il nostro interesse, ciò è vero solo se in capo al finanziatore (socio o banca) vi sia una coerente trattamento fiscale degli interessi in capo alla società ed al socio . Nella versione originale del primo teorema di M&M si ipotizzava assenza della tassazione, ma è facile dimostrare che l’ indifferenza della struttura finanziaria si ottiene anche con una medesima tassazione in capo alla società e al socio. Infatti la tabella in basso mostra che il rendimento complessivo è uguale sia in presenza di imposte ( rendimento complessivo di A uguale a quello di B ) che senza imposte (rendimento complessivo di C uguale a quello di D).
Invece, se gli interessi attivi in capo ai soci fossero tassati, in misura inferiore rispetto alla deducibilità degli interessi passivi in capo alla società e i dividendi fossero indeducibile dal reddito d’impresa, il solo incremento dell’indebitamento porterebbe ad un aumento del valore della società ( almeno fino a che non emergesse concretamente il rischio del dissesto economico finanziario). Si tratterebbe di una sorta di sovvenzione fiscale al debito che non è ugualmente presente nella remunerazione del capitale proprio (tax shield). Nella tabella sotto è possibile constatare che -nel caso limite di assenza di imposte in capo al socio - basta aumentare il debito per avere un incremento del rendimento (rendimento complessivo F > E).
Quindi da ciò si dovrebbe desumere la necessità di una certa simmetricità del trattamento fiscale degli oneri finanziari, che fa da corollario alla neutralità sostanziale dell’operazioni quindi o “deduco e tasso” oppure “non deduco e non tasso” .
Questo ripasso di economia – finanziaria dovrebbe aiutare ad eliminare qualsiasi pregiudizio sul debito e soprattutto sugli interessi passivi , aiutandoci a comprendere i comportamenti degli operatori economici inquadrando il trattamento degli interessi nell’ambito del coordinamento della tassazione tra società e socio con particolare attenzioni agli abusi/elusioni che non sono di facile individuazione, anche perché non ne è necessariamente un indizio l’elevato livello di debito.
La realtà italiana caratterizzato da un accesso al credito basato più sulle garanzie personali dei soci che sulla autonoma capacità delle aziende , rende - da un certo punto di vista - indifferente finanziare la società o il socio, visto che il rischio ricade sempre su quest’ultimo, che unitamente ad una mite tassazione degli interessi attivi in capo alle persone fisiche (tra il12,5% e il 27%) e l’indeducibilità di quelli passivi )nel caso di persone fisiche che non poducono reddito d’impresa), ha fatto preferire l’ indebitamento delle società , consentendo la deducibilità degli oneri finanziari (risparmiando ora il 27,5% dell’IRES ma se torniamo indietro fino alla metà degli annia novanta arriviamo ad oltre il 50%) conseguendo un lecito arbitraggio tra tassazione delle due diverse tipologie di reddito. Questo ha spinto le società a ristretta base societaria ad essere sempre state restie a distribuire i dividendi (magari servirebbe una conferma empirica), perché spesso la remunerazione dei soci avveniva tramite il pagamento degli interessi sui finanziamenti a titolo di credito ( essendo trascurabile l’apporto nel capitale permanente) e tramite salari, piuttosto che consulenze per la loro opera prestata all’interno della società o ancora compensi per le cariche societarie.
Quindi in presenza di elevati oneri finanziari (o elevati livelli di stock del debito) è difficile distinguere, nella nostra realtà, se questi derivano dai comportamenti sopra descritti o da operazioni elusive latu sensu (operazioni circolari) .
Infine volevo concludere esprimendo alcune perplessità sulle considerazioni in Dialoghi nr. 5 sul fatto che gli oneri finanziari interni non sono computati nei calcoli del PIL , credo che questa affermazione non possa essere traslata sulla loro rilevanza fiscale senza qualche ulteriore approfondimento. Il PIL comprende il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un paese, in un certo intervallo di tempo e destinati ad usi finali . Fondamentale è la caratteristica “destinati ad usi finali” , per la quale gli oneri finanziari tra soggetti nazionali non vengono considerati in quanto trattasi di flusso di redditi intermedi che si annullano come se fosse un bilancio consolidato, ma così avviene esattamente per tutti le altre transazioni interne di beni e servizi, quindi anche una acquisto interno di materie prime (grano) viene escluso dal PIL ma non per questo è indeducibile mentre viene computato il prodotto finito destinato al consumo (il pane).

Stefano Palestini

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